Confermata l’indipendenza dei Giudici della Corte Suprema

Capita, a metà del mese di giugno di questo tormentato 2020, che la Corte Suprema americana emetta una sentenza da molti ritenuta sorprendente a proposito – semplificando il concetto – della possibilità, che ha negato, che un lavoratore venga licenziato perché gay o transgender.
Capita che lo abbia fatto con sei voti contro tre.
Capita che tale netta maggioranza sia determinata dal sostegno del Presidente John Roberts e del Giudice Neil Gorsuch, entrambi di nomina repubblicana (il secondo voluto fortemente da Donald Trump e in ogni modo avversato in corso di ratifica della designazione dalla minoranza democratica senatoriale).
Capita che situazioni del genere – nelle quali, bene al di là delle collocazioni partitiche operino, come giusto e dovuto, le convinzioni ideali e soprattutto giuridiche – siano in qualche modo ‘normali’ per il massimo Organo di Giustizia USA.
Anche – va sottolineato per quanto non sia tutto – per le particolari condizioni nelle quali opera la Corte e agiscono i suoi componenti.
Che, ricordiamolo, sono nominati a vita mentre i loro emolumenti non possono essere toccati.
Due condizioni che, unite indubbiamente, come devono, ad una corretta personalità, portano a risultati che, invero, sorprendono solo quanti, colà collocati, si comporterebbero squallidamente seguendo le volontà politiche dei partiti di riferimento.