Dopo la Casa Bianca: di John Quincy Adams e di Andrew Johnson

È vero, lo sappiamo, il XXII Emendamento datato 1951 impedisce una terza elezione.

Ha trovato applicazione nei confronti di Dwight Eisenhower, Ronald Reagan, Bill Clinton, George Walker Bush e Barack Obama.

Per quanto Richard Nixon sia da considerare un caso del tutto particolare (è l’unico Presidente che non abbia portato a termine il secondo mandato a causa delle dimissioni), anche nei suoi riguardi perché il limite non è dato dagli anni di governo ma dal fatto – come ripetiamo – di essere stato “eletto due volte”.

Ora, nessuno impedisce all’ex Capo dello Stato di fare politica (se non lo fa è in qualche modo per delicatezza: viene considerato sconveniente) come di candidarsi, che so?, ad un Governatorato o alla poltrona di Sindaco.

Perfino di cercare un posto, uno scranno al Congresso, Senato o Camera volendo.

Si trovano nella più che bicentenaria storia delle Presidenziali due importanti precedenti a questo proposito.

Il primo.

John Quincy Adams, sconfitto da Andrew Jackson nel 1828 e costretto a lasciare White House il 4 marzo 1829, si candidò alla Camera dei Rappresentanti dove sedette dal 4 marzo 1831 al giorno della dipartita, il 23 febbraio 1848.

E non fu la sua una presenza priva di significato dato che operò attivamente per esempio per l’abolizione della schiavitu’.

Arrivò perfino il Nostro ad aspirare alla carica di Governatore del suo Massachusetts peraltro ritirandosi prima del ballottaggio.

Il secondo, meno noto.

Concerne nientemeno che Andrew Johnson.

Nientemeno perché il successore di Lincoln era sfuggito per un solo voto all’impeachment.

Si candidò Johnson nel 1874 al Senato per il Tennessee e vinse una travagliatissima campagna.

Entrato in carica a marzo del 1875 (una rivincita morale non da poco), morì il successivo 31 luglio.

Un Rappresentante, quindi: John Quincy Adams.

Un Senatore: Andrew Johnson.

Tempi lontani?

Certo, ma nessun divieto in merito anche oggi.