“Giovanotto, la politica è una cosa strana”

1932, Chicago, convention democratica.

Vecchie regole: per ottenere la nomination occorre conquistare i due terzi dei delegati e quindi nessuno tra i candidati arriva al redde rationem in Illinois già incoronato.

Lotta dura senza paura.

Non si fanno prigionieri.

Il governatore del New York, Franklin Delano Roosevelt è in vantaggio ma comunque, nelle prime votazioni, in qualche difficoltà.

Non decolla.

Fra gli avversari – oltre al ‘papista’ (è un cattolico ed è stato sconfitto quattro anni prima da Herbert Hoover) Alfred Smith – lo speaker della Camera dei rappresentanti John Garner, capace di battere Franklin in un paio di primarie di peso.

Lo stallo viene improvvisamente superato quando proprio ‘Cactus Jack’ – questo il soprannome del texano Garner – annuncia il suo appoggio a Roosevelt in cambio della candidatura alla vice presidenza.

Un cronista alle prime armi, nell’occasione, lo avvicina per chiedergli come sia possibile vista la lontananza ideologica e programmatica tra i due.

“Giovanotto, la politica è una cosa strana”, è la risposta che il giovane si sente dare dall’esperto e smaliziato Garner.

(Per inciso, il texano sarà vice del secondo Roosevelt per due interi mandati prima di ritirarsi a vita privata).

Credo che oggi altrettanto potrebbe dire il governatore del New Jersey Chris Christie, fino all’altro ieri feroce rivale di Donald Trump e oggi suo alleato.

Quale la promessa ricevuta in cambio, viene da chiedersi?

A meno che non si voglia credere che l’unica ragione per l’endorsement di Christie sia davvero la convinzione da lui espressa che a questo punto solo il nuovayorchese possa battere Hillary Clinton nella general election.

Mah…

Guardando ai due superstiti rivali di Trump – Kasich e Carson sono troppo lontani per contare qualcosa in tema – Ted Cruz, finora e come gli ha gettato in faccia in un recente dibattito Trump, non ha ricevuto nessun appoggio di rilievo.

Corre da solo, contro tutto e tutti, e alla fine il fatto dovrebbe nuocergli.

Il senatore Rubio, invece, coccolato dall’inizio dall’establishment GOP, colleziona endorsement.

Dopo quello di Nikki Haley, ecco negli ultimi giorni accorrere in suo soccorso il veterano Bob Dole – invano candidato nel 1996 contro Bill Clinton – l’ex governatore del Minnesota Tim Pawlenty, il governatore dell’Arkansas Asa Hutchinson…

Qualcuno tra i ‘vecchi’ – è storia recentissima – tra quanti temono nel partito l’antipartitico Donald, ha chiesto ai due ‘latinos’ di arrivare al dunque.

“Uno fra voi si ritiri”, è l’invito non raccolto.

Certo è che da dopo il supermartedì datato 1 marzo molte cose saranno più chiare e magari decise in casa repubblicana.

Ove si guardi allo schieramento opposto, per quanto Bernie Sanders si agiti, considerato soprattutto lo schieramento nella misura di venticinque a uno a favore di Hillary tra i superdelegati (un tema che ho già affrontato) scelti non dagli elettori ma dai maggiorenti del partito (!!!), visto il favore del quale gode l’ex first lady tra i neri, ritengo che i giochi – a meno di un inciampo giudiziario della Clinton – siano in qualche modo fatti.

Il ‘socialista’ del Vermont probabilmente continuerà comunque la campagna.

Gli idealisti – e lo misureremo da questo punto di vista – sanno benissimo che le uniche battaglie che meritano di essere combattute sono quelle perse!

(E se poi, una volta sconfitto per la nomination dem, il senatore del Vermont decidesse sul serio – si era sussurrato tempo fa al riguardo – di presentarsi come ‘terzo incomodo’, da indipendente, l’8 novembre?)