Gli anni Trenta di Roosevelt e le discriminazioni razziali

Accusato da un alto esponente della National Association for the Advancement of Colored People di non avere usato la propria influenza per spezzare l’ostruzionismo in Senato contro l’adozione di nuove leggi antilinciaggio, Franklin Delano Roosevelt, riferendosi al fatto che in quel consesso i democratici del Sud, guidati da segregazionisti come Pat Harrison e Joe Robinson, se da lui contrastati, non gli avrebbero consentito di portare a compimento provvedimenti che riteneva fondamentali nell’ambito del New Deal, rispose: “Non ho scelto io gli strumenti coi quali devo lavorare”.
Come afferma autorevolmente Michael Parrish nel suo imperdibile ‘L’età dell’ansia’, “…i diritti civili e la giustizia in campo razziale non furono mai in cima alla lista delle priorità del New Deal…”
A ben guardare, in un mondo – quello dei Trenta USA – nel quale i neri venivano ancora esclusi dalle squadre di pallacanestro “per evitare qualsiasi contatto tra corpi seminudi e sudati sul pavimento di una palestra”…
nel quale due Grandi atleti di colore quali Joe Louis (mettendo ko nell’incontro di rivincita Max Schmeling) e Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino – come verrà detto a posteriori – “infliggevano le prime sconfitte ai nazisti ad opera di Americani”…
la più importante riforma, significativa e portatrice di effettivi vantaggi, fu quella che portò finalmente il partito democratico alla abolizione della regola dei due terzi per la designazione del candidato alla Presidenza.
Regola che aveva dato modo ai delegati degli Stati del Sud segregazionisti, indispensabili nelle precedenti circostanze per la nomination, di porre il veto su ogni politico a loro non gradito e di impedire l’inclusione nel programma del partito di reali progetti di non formale apertura.
Accadde questo verso la fine di giugno del 1936, a Philadelphia, Pennsylvania.