La linea di confine superata con e dopo il Watergate

È dallo Scandalo Watergate, da quando Richard Nixon fu costretto a rassegnare le dimissioni dall’incarico presidenziale, che l’esame dei comportamenti tutti – anche quelli sui quali precedentemente non si indagava perché ritenuti privati, personali, zona franca – dei candidati Presidenti è diventato abituale, normale.
Di certo (per quanto anche il rivale Gerald Ford fosse persona inattaccabile che però portava sulle spalle, solo perché repubblicano, il peso dello scandalo predetto), grande fu ai fini della vittoria nel 1976 del democratico Jimmy Carter il contributo portato alle sue bandiere da una specchiata onestà a prova di bomba.
Ovvio in qualche modo che a tale esame siano stati da allora sottoposti anche i nominati da parte presidenziale ad incarichi quali Giudice della Corte Suprema o Federale, Ambasciatore e quant’altro.
Per quanto, a volte, eccessiva (quando si dà peso anche ai pettegolezzi) la caccia al ‘peccato, allo ‘scheletro nell’armadio’ da parte dei rivali e degli scatenati media, tale è la situazione e chi decida di scendere nell’agone ben lo sa.