L’America e i musulmani. Angelina Jolie e l’asiento

Senti parlare Angelina Jolie, la quintessenza del politically correct e del liberal democratico USA, e pensi a suo padre.

A John Voight, repubblicano duro e puro, il quale non molte settimane fa ha detto che il suo candidato preferito che intende appoggiare è Donald Trump, lo stesso che ieri la figlioletta ha attaccato a proposito delle sue posizioni sull’Islàm e dell’idea avanzata di impedire l’accesso negli Stati Uniti ai seguaci di Maometto.

Certo, un notevole contrasto familiare.

“Per me”, ha dichiarato la Jolie, “l’America è costruita su persone provenienti da tutto il mondo che si uniscono per la libertà, in particolare per la libertà religiosa”.

Belle parole davvero.

Belle parole che non si fa fatica a pronunciare in un Paese nel quale i maomettani sono un numero bassissimo e non hanno nessuna influenza.

Belle parole, impronunciabili in mille altri territori di questo vasto mondo, territori nei quali proprio i musulmani negano a tutti la libertà religiosa.

Ma, forse, sarebbe opportuno cercare di capire come mai l’America – l’intero continente, anzi i due continenti, nord e sud – conti tra i propri abitanti un numero praticamente insignificante di maomettani.

Certo, non erano appartenenti all’Islàm i colonizzatori europei, né quelli dei Paesi del nord del vecchio continente né quelli iberici, e va bene.

Ma perché tra gli africani giunti con il commercio degli schiavi nessuno era maomettano?

Perché, conseguentemente, non si è formata una comunità islamica neppure nell’America Latina?

Semplicemente per il fatto che nel contratto (denominato ‘asiento’) di concessione da parte della Corte Madrilena della patente che consentiva ai negrieri di operare era chiaramente detto che gli schiavi potevano avere qualsiasi religione tranne quella predicata dal Profeta.

E ci sarà pur stata, all’epoca, una ragione per includere tale esplicito divieto nei contratti che autorizzavano il turpe commercio.