L’invocazione “Lasciate che Trump sia Trump!” l’abbiamo già sentita e ha senza dubbio una sua ragione.
Il tycoon nuovaiorchese, in tutta la campagna, dalla candidatura alle primarie, ha sbaragliato la concorrenza interna al GOP – diciassette avversari, mica niente – facendo sempre di testa sua, andando a ruota libera, stupendo, uscendo dagli schemi, eccetera.
Disinteressandosi delle opinioni dei media, degli osservatori, dei commentatori, dell’establishment tutto del suo stesso partito.
E aveva un capo dello staff di sua fiducia che lo lasciava fare.
Poi, arrivato alla consacrazione, consigliato per il meglio (secondo i consiglieri) ma per il peggio guardando ai risultati, l’ha cambiato.
Via Corey Lewandowski e dentro Paul Manafort.
E adesso, a giochi non certamente favorevoli, via Manafort che a suo modo di vedere (ma è così) lo avrebbe ingabbiato impedendogli di dire e fare secondo estro e natura.
L’ha sostituito con un suo fan, Stephen Bannon, un vero conservatore che l’ha finora sostenuto a spada tratta e che non ha la minima esperienza in merito al lavoro che l’attende.
Vedremo se la mossa avrà successo.
Se davvero Trump tornerà a tempestare senza freni.
Verificheremo se adesso, affrontando la Clinton, la tattica dei tempi felici può essere ancora usata con esiti positivi.