Mancano centodue giorni

L’8 novembre si avvicina.

Il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre, come vuole la legge dal 1845 e come accade dalle elezioni del 1848, allorquando i cittadini aventi diritto al voto di tutti gli Stati furono chiamati insieme, appunto nel solo giorno di martedì (non più nell’arco di all’incirca un mese) alle urne.

Siamo, quindi – finalmente, verrebbe da dire, considerando il fatto che la campagna ha avuto inizio addirittura il 23 marzo 2015 con l’annuncio della discesa in campo di Ted Cruz – al confronto finale.

Le convention, per quanto annunciate come ricche di possibili sorprese e, specie in campo repubblicano, di agguati, hanno confermato l’esito dei confronti precedenti, quelli dei caucus e delle primarie.

Donald Trump – il maverick, il vitello senza marchio, l’oggetto estraneo alla politica, l’indesiderato dall’establishment GOP, il villanzone (secondo i media) – cavalca alla grande l’onda ed è percepito dagli elettori (che contrariamente ai predetti media votando decidono) come il candidato del popolo, lui il miliardario nuovaiorchese!

Hillary Clinton – l’algida ex first lady ed ex segretario di Stato (ruolo nel quale ha fallito) della cui salute si sa ben poco, la donna che per fare politica ha rinunciato al proprio cognome (Rodham, per chi lo avesse dimenticato) e alla dignità assolvendo il marito in ogni circostanza pur di portarne il nome, che rappresenta in tutto e per tutto la conservazione come è dimostrato dai finanziatori e sostenitori anche internazionali che ha, che è stata appoggiata dal partito oltre la decenza (come dimostrato dalle mail pubblicate) – retrocede.

Ma i sondaggi – quando e se corretti e non viziati da intenti propagandistici – al massimo rappresentano un momento e sono necessariamente volatili.

I centodue giorni che mancano saranno senza dubbio interessanti come i trascorsi.

E’ questa una campagna diversa rispetto alle ultime due – abbastanza noiose – e tiene sulle corde.

E’ talmente diversa per i contrasti – al momento sopiti ma chissà? – che ha acceso che per la prima volta da decenni un terzo candidato può avere la possibilità di contare qualcosa.

Più che un terzo candidato, un terzo ticket, quello del Libertarian Party.

Gary Johnson e Bill Weld, due ottimi ex governatori di riconosciute capacità, sono in pista con appoggi insperati.

Riusciranno a vincere almeno in uno Stato?

(L’ultimo che ci riuscì – invero, allora, in addirittura cinque Stati – fu George Wallace nel lontanissimo 1968).

Riusciranno da fine settembre a partecipare ai dibattiti televisivi tra i candidati accreditati dai sondaggi di almeno il quindici per cento delle intenzioni di voto?

(L’ultimo ‘terzo candidato’ ammesso fu Ross Perot nel 1992).

E la verde Jill Stein – la prima esponente del Green Party di un qualche peso dopo Ralph Nader – troverà un suo spazio?

Molta, come si vede e in un esame più approfondito si vedrebbe maggiormente, la carne al fuoco.

E, a chiudere, ricordiamoci che un qualsiasi episodio adesso poco o punto prevedibile può cambiare le carte in tavola anche all’ultimo minuto.

Evviva!