Meglio non dover affrontare sfide interne (attenti a Bill Weld!)

Ricordate William ‘Bill’ Weld?

Uomo di grande fascino, discendente di William Floyd – uno dei firmatari della Dichiarazione di Indipendenza – harvardiano ‘summa cum laude’, a suo tempo sposato con una Roosevelt, già nell’amministrazione Reagan, già due volte Governatore del Massachusetts, nel 2016 per divertimento candidato alla Vice Presidenza nel Libertarian Party?

Ebbene, Weld – tornato oggi nelle fila repubblicane – ha da poco costituito un comitato per verificare le proprie possibilità di ottenere la nomination GOP in opposizione a Donald Trump sfidandolo nelle primarie.

Come detto a proposito della candidatura libertariana alla Vice Presidenza, il Nostro, di recente, cerca il divertimento e può essere benissimo che anche in questa circostanza operi in tale prospettiva.

Peraltro, storicamente, nelle poche occasioni nelle quali un Presidente in attesa di conferma è stato seriamente sfidato all’interno del proprio partito, anche quando uscito vincitore nella contesa, non è poi riuscito ad ottenere l’agognato secondo mandato.

Alcuni esempi:

nel 1968 Lyndon Johnson si ritirò dalle primarie, è vero a causa dei problemi relativi all’andamento della Guerra del Vietnam, ma anche per la sfida, più valida e seria del prevedibile, che gli portava Eugene McCarthy;

nel 1980 Jimmy Carter riuscì a respingere il temibile Ted Kennedy ma perse poi da Ronald Reagan;

tornando indietro di un quadriennio, proprio la sfida, non riuscita ma dura, di Reagan a Gerald Ford aveva mostrato le debolezze del secondo, in novembre sconfitto da Carter (per il quale, quindi, la questione si è posta prima in termini positivi e poi negativi);

nel 1992 l’investitura dell’uscente George Herbert Bush – battuto infine da Bill Clinton – trovò qualche ostacolo in casa in particolare ad opera di Pat Buchanan.

Tutto ciò detto e considerato, il tycoon si deve augurare che Weld rinfoderi gli artigli.

Rischiererebbe, altrimenti, non tanto la nomination quanto la conferma.