Come diceva Indro Montanelli, se proprio si deve, occorre saper morire al momento giusto.
Ebbene, Antonin Gregory Scalia, il giudice della Corte Suprema nominato da Ronald Reagan che in quell’alto e determinante consesso incarnava il conservatorismo in chiave hamiltoniana, ha scelto il momento peggiore per andarsene.
E non solo perché consegna nelle mani del presidente Obama la possibilità di mutare radicalmente gli indirizzi della Corte spostandola su posizioni indicativamente liberal.
Per altre due problematiche, a dir poco, implicazioni.
Per cominciare, dovesse Obama procedere alla nomina di un radicale si troverebbe in fiero contrasto con il senato a maggioranza repubblicana che potrebbe bocciare le sue scelte, la quale specifica contrapposizione non è mai auspicabile.
In secondo luogo, la situazione creatasi determina una feroce polemica tra i candidati a White House, una polemica che può influire sul risultato elettorale.
I repubblicani, a gran voce, chiedono al presidente di soprassedere essendo – questa la motivazione trovata – vicino alla scadenza: che lasci al suo successore (GOP, sperano) l’incombenza.
Hillary Clinton, dall’altra sponda, li accusa di non volere rispettare la Costituzione.