Se l’elezione 2016 è anomala, guardiamo ai precedenti casi ‘particolari’

Una elezione per molti versi anomala quella 2016.

Da una parte, in casa democratica, con ogni probabilità, per la prima volta, una donna otterrà la nomination.

Dall’altra, tra i repubblicani, non per la prima volta ma da molto tempo in qua, un ‘estraneo’ alla politica, un vero ‘maverick’, le sarà opposto.

Di seguito, altre occasioni, altre campagne ‘uniche’ o ‘strane’ –  molte anche se non tutte a dire il vero – ognuna per il suo verso.

 

Risultati e situazioni per qualche particolare ‘anomali’

 

1789

Si vota per la prima volta.

Si vota in un anno dispari e non succederà mai più.

L’eletto, George Washington, è un generale.

Apre una non lunga serie di militari arrivati successivamente al supremo scranno USA.

 

1800

Thomas Jefferson – vice con John Adams, il quale ultimo, in cerca di una conferma, viene invece battuto – e Aaron Burr conquistano lo stesso numero di delegati, settantatre.

Visto quanto disposto dalla Carta costituzionale, la decisione passa alla camera dei rappresentanti che si esprime, questa la disposizione in merito, con un unico voto per ogni delegazione statale.

Occorrono trentasei scrutini perché, alla fine, Jefferson prevalga.

(Per inciso, l’impasse descritto dipendeva anche, non solo, dal fatto che all’epoca non esisteva il ticket e l’elezione del vice presidente – Burr, teoricamente, correva proprio per la seconda piazza – non era distinta da quella del capo dello Stato.

Chi prendeva più voti e più delegati occupava lo scranno presidenziale il secondo classificato ne era il vice, con il che poteva darsi che i due appartenessero a partiti diversi con conseguenze improbabili, politicamente parlando e altresì nell’ipotesi di successione in carica).

Si tratta dell’unico caso in cui appunto due candidati sono arrivati alla pari.

Ultima annotazione: essendo stato determinante per l’elezione di Jefferson l’appoggio di Alexander Hamilton, tra quest’ultimo e il predetto Burr si accese un, chiamiamolo così, dissidio che nel 1804 li porterà a duellare.

Conseguenza: il vice presidente in carica (Burr) uccide l’ex segretario di Stato al tesoro (Hamilton), uno dei Padri della patria USA!

 

1824

I candidati in corsa sono quattro.

William Crawford, designato proprio successore da James Monroe e proposto da una parte dei congressisti del partito democratico-repubblicano allora in auge.

John Quincy Adams, segretario di Stato di Monroe e indicato da non pochi congressisti dissidenti.

Henry Clay, speaker della camera, presentato dal parlamento del Kentucky.

Andrew Jackson, eroico generale sostanzialmente lontano dalla politica, voluto dal parlamento del Tennessee.

Risultato?

Il vincitore della battaglia di New Orleans prende più voti e più delegati (novantanove) ma non raggiunge la prescritta maggioranza assoluta di questi ultimi.

Secondo è Adams con ottantaquattro.

Terzo Crawford con quarantuno.

Quarto Clay con trentasette.

La camera, nuovamente chiamata a decidere, opta per John Quincy Adams.

(Per incidens, dovendo scegliere obbligatoriamente tra i primi tre classificati – il quarto e gli eventuali seguenti essendo nel caso esclusi per normativa costituzionale – ed avendo Crawford subito un infarto, restavano in corsa solo Jackson e J.Q..

Clay, in cambio – diciamo la verità – in cambio della futura segreteria di Stato, fece convergere i suoi decisivi voti su Adams.

Tuoni e fulmini di Jackson, presidenza tormentatissima e infelice dell’ex ministro degli esteri, dissoluzione del partito democratico-repubblicano, in nuce nascita del partito democratico ancora oggi in spolvero).

Si tratta dell’unico caso in cui la camera abbia scelto tra tre candidati e del primo nel quale un presidente abbia preso meno voti popolari di uno degli sconfitti.

Va rilevato che John Quincy è il solo capo dello Stato che lasciata la carica si sia in seguito presentato alle elezioni per la camera dei rappresentanti dove, eletto e rieletto, rimase fino alla morte.

Un’ultima considerazione sul Nostro: è il primo figlio di presidente (il padre, John Adams, è stato in carica dal 1797 al 1801) e seguire le orme del padre e ad ottenere il medesimo successo.

 

1836

Vince Martin Van Buren, il primo presidente ‘americano’ e cioè il primo inquilino di White House nato (il 5 dicembre 1782) dopo la Dichiarazione di Indipendenza.

Van Buren è anche il primo vice che diventa presidente nelle elezioni immediatamente seguenti a quelle nelle quali ha ottenuto il suo vicariato, peraltro, nel giorno delle votazioni, ancora in corso.

In cerca di conferma quattro anni dopo, sarà battuto.

 

1840

A seguito della morte, il 4 aprile 1841, del presidente eletto nel 1840 William Harrison, per la prima volta un vice subentra in carica.

Si tratta di John Tyler.

(Per inciso, una delle proposte di riforma costituzionale tramite emendamento avanzate dal partito whig, al quale apparteneva il citato Harrison, era che la presidenza fosse esercitabile per un solo mandato.

Harrison e Zachary Taylor – l’altro whig che riuscì, nel 1848, a vincere – muoiono entrambi nel corso del loro quadriennio rispettando quindi in pieno le idee in proposito del loro movimento).

 

1848

Nell’occasione, l’ex presidente Martin Van Buren, si ricandida.

Il fatto va segnalato perché non era mai successo prima che un capo dello Stato uscito dalla Casa Bianca perché battuto e defenestrato si riproponesse a distanza di tempo e per di più sotto l’egida di un altro partito (era democratico e si ripresenta come esponente del free-soil).

 

1856

E’ la prima volta che un vice presidente in precedenza subentrato mortis causa al titolare dell’incarico, trascorso un mandato, si ripresenta.

Si tratta di Millard Fillmore, che era succeduto a Zachary Taylor e ne aveva concluso il mandato il 3 marzo del 1851.

La sua mossa sarà bocciata dall’elettorato.

 

1860

Il partito repubblicano, costituitosi nel 1854, per la prima volta porta un proprio esponente a White House.

E’ ovviamente Abraham Lincoln che nell’occasione approfittò della spaccatura interna ai democratici che, in sostanza, presentarono due candidati.

La somma dei voti popolari di Stephen Douglas e John Breckinridge era superiore ai suffragi ottenuti da Lincoln che però aveva dalla sua un numero di Stati (e per conseguenza di voti elettorali) assai superiore.

(Per incidens, se – e la stessa cosa si deve dire a proposito delle votazioni del successivo 1912 – fosse stato in vigore il ‘sistema della Lema’, in uso per un certo periodo in Honduras e in parte in Uruguay, avrebbe vinto Douglas in quanto si sarebbero conteggiati insieme i voti popolari dati ai due democratici assegnando poi la carica al più seguito tra loro).

 

1864

Tre le ragioni per sottolineare la particolarità della elezione che conferma il GOP Lincoln.

La prima è che il vice che con lui viene eletto (Andrew Johnson) per la contingente situazione – Guerra di Secessione in corso e necessità di far vedere che la lotta contro il Sud non è esclusivo appannaggio dei repubblicani – appartiene al partito democratico.

La seconda è che Lincoln sarà di lì a poco ucciso.

Primo caso di un presidente assassinato.

La terza è che il subentrato Andrew Johnson sarà dipoi il primo presidente ad essere sottoposto (invano) alla procedura di impeachment.

 

1876

Samuel Tilden, democratico del New York, Rutherford Hayes, repubblicano dell’Ohio.

Ecco i due protagonisti di una elezione davvero controversa (occorrerà attendere il 2000 per trovare qualcosa di analogo).

A bocce ferme, il primo poteva contare su centoottantaquattro delegati mentre il secondo su centosessantasei.

Restavano però non attribuiti i diciannove voti elettorali relativi a South Carolina, Louisiana e Florida.

I tre Stati fornivano risultati sia a favore dell’uno che a vantaggio dell’altro.

Mesi e mesi di stallo, poi, il cosiddetto ‘Compromesso del 1877’ (si era già arrivati all’anno successivo e l’entrata in carica – di chi? – all’epoca fissata al 4 marzo, era prossima) sistemò le cose.

Hayes ottenne i delegati e in cambio si impegnò in concessioni non solo politiche (anche a ritirare la parte dell’esercito che permaneva negli Stati del Sud ancora occupati) alle quali tenne fede.

Secondo la maggioranza degli storici, in effetti, il GOP aveva vinto in South Carolina e Louisiana ma non in Florida ragione per la quale la presidenza avrebbe dovuto essere assegnata al democratico.

Per di più, Tilden – era già accaduto nel citato 1824 – aveva conquistato il maggior numero di voti popolari a livello federale (per quel che vale).

 

1884

E’ l’anno nel quale si afferma Grover Cleveland, democratico, che, vincendo, interrompe una serie di affermazioni GOP iniziate nel 1860 con Lincoln.

L’esponente dell’asinello di cui si tratta si segnala per un paio di particolarità.

E’ l’unico eletto due volte ma non consecutivamente (sconfitto da Benjamin Harrison nel 1888, rivincerà nel 1892) ragione per la quale è conteggiato sia come ventiduesimo che come ventiquattresimo presidente.

E’ l’unico capo dello Stato dem dal citato 1860 al 1912, dato che dopo di lui e fino a Woodrow Wilson la palla resterà sempre in mano ai repubblicani.

 

1888

Benjamin Harrison, repubblicano, strappa lo scranno al democratico Grover Cleveland pur ottenendo un numero di voti popolari inferiore.

 

1892

Per la prima e unica volta, un ex presidente – nel caso, Grover Cleveland – riconquista la Casa Bianca dopo un quadriennio di intervallo.

Da segnalare altresì la candidatura di un esponente populista, James Weaver.

 

1896

Il candidato democratico William Jennings Bryan è appoggiato anche dal partito populista.

Per conseguenza, ed è l’unica volta che accade nella storia delle presidenziali USA, ha due running mate, uno democratico e uno populista.

Ciò malgrado, il grande oratore, già membro della camera per il Nebraska, perderà.

(Per inciso, sarà in corsa anche nel 1900 e nel 1908 con il medesimo risultato e infine occuperò il posto di segretario di Stato nei primi tempi della amministrazione Wilson).

 

1904

Theodore Roosevelt, che da vice presidente succeduto mortis causa a William McKinley ne sta concludendo il mandato, si candida e a novembre vince.

E’ la prima volta che un vice subentrato si propone come presidente in proprio cercando di subentrare a se stesso (Fillmore lo aveva fatto un quadriennio dopo la sua uscita da White House) per di più riuscendoci.

Da segnalare la candidatura di Eugene Debs, in rappresentanza del partito socialista.

Si riproporrà invano altre volte.

 

1912

Per una sorta di nemesi storica, il partito repubblicano, che aveva conquistato la Casa Bianca nel 1860 a causa delle divisioni interne tra i democratici, in questa tornata, per così dire, rende il favore.

Ecco in qual modo.

Per la prima volta – è da segnalare davvero – uno dei due partiti egemoni adotta a livello di selezione dei delegati alla convention le primarie.

Si tratta del GOP.

Nei tredici Stati nei quali si vota, Theodore Roosevelt stravince.

Ma William Taft, il presidente uscente, controlla il partito e riesce ad ottenere la nomination.

Teddy, imbufalito, esce e fonda un movimento ‘progressista’.

Guardando ai risultati, mai un terzo candidato praticamente indipendente – né prima né dopo – ottenne od otterrà una percentuale tanto alta di voti e neppure conquistò o conquisterà tanti Stati (sei).

Mentre in cotal modo Taft è demolito dal confronto, la Casa Bianca sorride al democratico Woodrow Wilson, presidente ‘di minoranza’, visto che conta solo sul quarantadue per cento dei suffragi popolari.

 

1916

Il candidato repubblicano Charles Evans Hughes – sconfitto di stretta misura da Wilson – era dal 1910 giudice associato della Corte Suprema della quale sarà poi presidente dal 1930 al 1941.

Nessun altro giudice della Corte Suprema era stato o sarà dopo in corsa per White House.

Infatti, William Taft, che lo precederà nella carica di Chief, era stato sì presidente (e quindi, evidentemente, candidato) dopo le elezioni del 1908 ma non era a quel momento membro della predetta Corte nella quale sarebbe entrato successivamente, nel 1921.

 

1928

Per la prima volta, un cattolico è candidato alla Casa Bianca da uno (il democratico) dei due partiti maggiori.

Si tratta del più volte governatore del New York Alfred Smith che – fra l’altro accusato di essere un ‘papista’ – a novembre perderà nettamente.

 

1932

Da segnalare, tra i candidati ‘minori’, William Zebulon Foster, in rappresentanza del partito comunista americano.

Appoggiato da un numero notevole di intellettuali che aderiscono a un proclama a suo favore di Edmund Wilson, raccatta un povero, misero pacchetto di voti.

 

1940

Franklin Delano Roosevelt è al termine del secondo mandato.

In teoria – ma nessuna legge glielo impone trattandosi di una tradizione conseguente al fatto che George Washington, rifiutando una terza investitura, nel 1796 non si era riproposto sostenendo che nessun uomo poteva sostenere il peso della presidenza per più di otto anni – non dovrebbe ripresentarsi.

Per primo – ed unico, dato il successivo disposto dell’emendamento che dal 1951 regola la questione proibendo una terza e ovviamente ogni successiva elezione – invece, infrange la regola e viene rieletto.

 

1944

In sella una quarta volta, sia pure morendo il 12 aprile 1945, Franklin Delano Roosevelt stabilisce un record di durata in carica imbattibile, visto che l’emendamento approvato dipoi nel 1951 impedisce una terza elezione (e, figurarsi, una quarta).

Era entrato a White House il 4 marzo 1933, dodici anni, un mese e otto giorni prima.

 

1948

Addirittura quattro – non succedeva da tempo – i candidati in corsa.

Il presidente uscente Harry Truman, democratico.

Il governatore del New York Thomas Dewey, repubblicano.

Il ‘dixiecrat’ fuoriuscito dai dem J.Strom Thurmond, forte nel Sud segregazionista.

L’ex vice presidente, nel terzo mandato, di F. D. Roosevelt Henry Wallace.

Truman, dato per spacciato dai sondaggi e per sconfitto dai media dopo i primi risultati, invece vince.

 

1960

Sofferta elezione di John Fitzgerald Kennedy, il primo cattolico che arriva alla Casa Bianca.

 

1968

Presidente – un caso unico – diventa Richard Nixon, già sconfitto otto anni prima da Kennedy.

Il partito democratico gli oppone Hubert Humphrey, vice di Lyndon Johnson, che non ha partecipato alle primarie.

Questo perché nessun candidato dell’asinello ha raggiunto la maggioranza assoluta dei voti elettorali e la convention è pertanto libera di scegliere anche al di fuori dei contendenti in campo.

Da segnalare, l’ottima prova del governatore dell’Alabama George Wallace, segregazionista, uscito dal partito democratico e in gradi di vincere in ben cinque Stati.

 

1976

Anomala, indubbiamente, la vicenda di Gerald Ford, repubblicano.

Era in carica avendo sostituito nel 1974 il dimissionario Richard Nixon, ma era e resta l’unico presidente arrivato a Washington senza essere stato eletto né come capo dello Stato né come vice.

Era infatti subentrato, su designazione di Nixon e dopo l’approvazione prevista, al running mate del californiano, Spiro Agnew, che si era a propria volta dimesso, prima, per un differente scandalo.

Ford perde dal democratico Jimmy Carter.

 

1980

Non poche le volte nelle quali un presidente repubblicano in carica e in cerca di un secondo mandato viene battuto.

Unica, di contro, la riuscita di Ronald Reagan che in questa tornata strappa di forza lo scranno al democratico Jimmy Carter.

 

1984

Per la prima volta, in un ticket di uno dei due maggiori partito – nel caso, il democratico – appare il nome di una donna.

Si chiama Geraldine Ferraro, è democratica e corre per la vice presidenza con Walter Mondale.

Saranno sconfitti rovinosamente da Reagan che si conferma a valanga.

 

1988

E’ dai tempi di Martin Van Buren (elezioni del 1836) che un vice presidente candidato alla successione del suo ‘capo’ non conquista White House.

La cosa riesce quest’anno a George Herbert Bush.

Peraltro, seguendo in tutto e per tutto Van Buren, anche G. H. resterà in carica solo quattro anni.

 

1992

Defenestrazione, dopo un solo mandato, del presidente in carica, il repubblicano George H. Bush, ad opera del democratico Bill Clinton.

Si illustra, conquistando un notevole numero percentuale di voti popolari ma nessuno Stato, il candidato indipendente Ross Perot.

Con ogni probabilità, la sua discesa in campo favorisce Clinton sottraendo voti a Bush.

 

2000

Elezione decisamente storica.

George Walker Bush, GOP, batte il vice di Clinton Al Gore, dem, dopo contestazioni e ricorsi a tutti i livelli.

Oggetto del contendere (ricordate il 1876?) la Florida e l’attribuzione dei suoi delegati, decisivi ai fini della conquista della Casa Bianca.

Lo sconfitto Gore, per di più, prevale in voti popolari.

 

2008

Grosse novità in campo democratico.

I potenziali candidati sono un nero, Barack Obama, e una donna, Hillary Rodham Clinton.

Al termine della maratona delle primarie e dei caucus prevale Obama che a novembre vince poi ai danni di John McCain.

Gli USA hanno pertanto il loro primo presidente nero.

 

2012

C’è una prima volta per tutti.

Anche per i mormoni.

Infatti, la nomination repubblicana va al mormone Mitt Romney, già governatore del Massachusetts, sconfitto da McCain nella corsa interna ai GOP quattro anni prima.

 

2016

Non manca molto a chiudere i giochi interni ai partiti e, come scritto nelle prime righe, pare proprio che debbano affrontarsi una donna e un GOP del tutto particolare al quale l’establishment ha cercato di sbarrare la strada.

Gli antipartito si riconoscono in lui ma anche nel contendente, destinato a soccombere ma dopo avere ben lottato, di Hillary Clinton, il senatore del Vermont, Bernie Sanders che ha il coraggio – occorre dirlo, visto che solo pochi anni fa una simile affermazione avrebbe distrutto una qualsiasi carriera politica – di dichiararsi ‘socialista’.

Chiunque vinca tra Trump e Clinton, questa sarà una tornata elettorale sul serio da ricordare!

 

Glossario

Grand Old Party – GOP – è il partito repubblicano che ha come proprio emblema un elefantino.

GOP si usa anche per indicare un aderente o un esponente repubblicano (che è quindi gergalmente un GOP).

Il partito democratico ha come proprio simbolo un asinello.

I delegati sono anche indicati con l’appellativo ‘voti elettorali’.