Tre volte (o più) in corsa

Perennial Candidates a parte (tra gli indipendenti e gli aspiranti in rappresentanza di partiti minori, moltissimi i Candidati a più riprese e per questo in cotal modo definiti), guardando ai movimenti politici di tempo in tempo effettivamente in grado di aspirare allo Scranno Presidenziale, non pochi gli uomini impegnati nella bisogna (abbiano avuto successo o meno) in diverse occasioni.

Il record – eguagliabile, eventualmente superabile, solo in caso di nessuna o di una sola vittoria visto il disposto dell’Emendamento Costituzionale del 1951 che limita da allora a due le elezioni possibili – appartiene al Democratico Franklin Delano Roosevelt.

Già in corsa (in aggiunta) quale Running Mate con James Cox e sconfitto nel 1920, è stato alla Casa Bianca per oltre dodici anni (dal 4 marzo 1933 al 12 aprile 1945, giorno della improvvisa dipartita) avendo vinto di seguito le campagne 1932, 1936, 1940, 1944.

Il primo serio – diciamo così – Candidato che si è proposto in tre circostanze è stato, tra fine Settecento e inizi Ottocento, Thomas Jefferson, cofondatore e leader dei Democratici Repubblicani, sconfitto dal rivale Federalista John Adams nel 1796 ma successivamente, quattro anni dopo, capace di defenestrarlo e dipoi di vincere anche nel 1804.

Tre candidature e due affermazioni, pertanto.

Andrew Jackson ripercorre, tra il 1824 (quando viene sconfitto, alla Camera perché nessuno tra i concorrenti conquista la maggioranza assoluta dei Grandi Elettori), 1828 (allorché, venendo considerato il primo Capo dello Stato USA Democratico, batte John Quincy Adams, che, per inciso, ripercorre il medesimo cammino presidenziale del padre) e 1832 (terza candidatura e seconda affermazione), passaggio per passaggio, la strada battuta da Jefferson.

È il Vice Presidente di Jackson Martin Van Buren il successivo pluriaspirante.

Da Democratico, prevale nel 1836 e viene sconfitto (da uno dei battuti della precedente campagna: William Harrison) nella seguente circostanza.

Passano otto anni e nel 1848 si propone per un diverso partito, il Free Soil, perdendo nuovamente.

Percorso, quindi, alternativo: vittoria, sconfitta, sconfitta.

Differente ancora, unica, la vicenda elettorale di Grover Cleveland.

Siamo nel 1884 e il Partito Democratico, che non vince dal 1856, candidandolo, riconquista White House

Passa il Quadriennio e lo sfidante Repubblicano Benjamin Harrison, lo batte.

Famosa la frase rivolta al maggiordomo della dimora dalla moglie di Cleveland al momento del congedo:

“Non sposti nulla.

Torneremo”.

Come in effetti avverrà perché, la terza campagna di Cleveland lo vedrà nuovamente vincente.

È il solo caso in tutta la storia delle Elezioni Americane nel quale un Presidente sconfitto torna a prevalere.

Cleveland è così numerato due volte nell’elenco degli inquilini di White House: al ventiduesimo e al ventiquattresimo posto.

I Presidenti sono quarantacinque ma gli uomini che hanno effettivamente governato quarantaquattro essendo naturalmente Grover Cleveland una sola persona.

Appare subito dopo nel firmamento della politica USA un possente oratore di grande presa sugli elettori in particolare negli Stati meridionali e conservatori.

È il giovanissimo (trentasei anni nel 1896 quando si propone la prima volta) Democratico William Jennings Bryan.

Nella circostanza  citata viene appoggiato anche dal Partito Populista (allora di un qualche peso).

La conseguenza è che Bryan sarà storicamente il solo Candidato alla Presidenza compreso in due ticket e con due diversi Running Mate.

Perde e perderà nel 1900 (in entrambe le occasioni battuto dal Repubblicano William McKinley) come anche, terza sconfitta, nel 1908.

Possibile dimenticare in questa carrellata Richard Nixon?

Vice di Dwight Eisenhower, Repubblicano, si presentò alla volata finale in tre circostanze.

Sconfitto da John Kennedy nella tornata 1960, risorse, imponendosi otto anni dopo e vincendo a valanga nel 1972.

La qual cosa (ma è un differente discorso) non impedì che fosse costretto alle dimissioni nell’agosto del 1974.

Un cenno – apparteneva ad un partito, il Socialista, in verità mai davvero in grado di conquistare White House – merita comunque Eugene Debs che, rappresentando peraltro un’idea e una ideologia, perse cinque volte tra il 1900 e il 1920, il 1916 escluso.

Fra l’altro, è stato l’unico Candidato non folkloristico (esistono, esistono) che abbia condotto una campagna elettorale stando in galera (l’ultima volta).

Volendo estendere il discorso e trattando quindi anche di politici eletti e in precedenza (o dopo) invece e in verità battuti, prima di arrivare alla candidatura, all’interno dei loro partiti in campagna o in sede di Convention, dopo avere ricordato che Ulysses Grant – eletto nel 1868 e nel 1872 – nel 1880 fu preso nuovamente in considerazione e sconfitto solo all’ultimo, sarà bene trattare di Ronald Reagan.

Governatore della California, il Nostro scese in campo una prima volta nel 1968 perdendo in poche battute in sede congressuale.

Tornato alla carica otto anni dopo, contese duramente la Nomination a Gerald Ford che ne ebbe ragione per pochissimi voti alla Convention.

Riuscì (finalmente, si può ben dire) ad ottenere il via libera dal GOP nel 1980.

Vinse defenestrando Jimmy Carter.

Rivinse travolgendo il povero Walter Mondale nel 1984.

A ben guardare, anche Bill Clinton è un pluricandidato.

Prima del vittorioso 1992 (replicò quattro anni dopo) ebbe a considerare seriamente di proporsi nel 1988.

Non lo fece, ma nelle sue memorie parla di quel momento decisivo con un qualche rammarico.

Tra i candidati due volte battuti a novembre, non pochi quelli che, prima o dopo, avevano provato o proveranno ad ottenere una Nomination.

Ricordiamo qui, per par condicio, un Repubblicano e un Democratico.

Thomas Dewey, sconfitto da due differenti avversari in carica (un bel record) – nel 1944 da Franklin Delano Roosevelt e nel 1948 da Harry Truman – pensando che Eisenhower si sarebbe ritirato dopo un solo Mandato, cosa che il Generale si guardò bene di fare – si spese invano nel 1956.

Adlai Stevenson, sconfitto in due occasioni dallo stesso Eisenhower (1952 e 1956), per qualche istante fu considerato anche quattro anni dopo.

Ogni qual volta scrivo di Stevenson – uomo intelligente e colto certamente inadatto a ricoprire un incarico di tal fatta, essendo persona  complessa e troppo articolata – mi sovviene di quando, terminato nel 1952 un discorso elettorale, avvicinato da una Signora che gli disse “Governatore” (lo era, dell’Illinois) “tutte le persone intelligenti voteranno per lei”, rispose: “Non basterà Madame.

Occorre la maggioranza!”

Nient’altro al riguardo.