USA 1948 2016, con gli occhi del cuore

Anni ed anni, decenni invero, che una campagna per la Casa Bianca non mi ‘prendeva’ come quella in corso mi prende.

Certo, nel 2012 ho fatto il tifo per Mitt Romney, ma non era il cuore che mi guidava, era la testa.

Nel 2008 avrei parteggiato con tutto me stesso per Condoleezza Rice se si fosse proposta, ma non lo fece.

Indietro, nel tempo, ho desiderato che Walker Bush ce la facesse così come suo padre nel 1992, ma senza palpiti.

Quanto a Bill Clinton, nel 1996 sapevo che avrebbe vinto: furbo, intelligente, mascalzone, dissimulatore come era (al punto che tutte le sue malefatte sono state subito dimenticate) lo trovavo perfino simpatico.

E’ andando lontano che trovo i candidati ‘giusti’, uno su tutti.

Avrei certamente amato quel vecchio manutengolo della mafia del Missouri, Harry Truman, che si trasformò in un magnifico capo di Stato, ma non avevo l’età.

E, lasciando da parte Eisenhower, compassato quale era, l’uomo di fronte al quale ci si deve inchinare (e mi sono inchinato) è Lyndon Johnson, un presidente grandissimo!

Lo sostenni col cuore nel 1964 – avevo visto di cosa era capace quanto alla politica interna e in specie alla lotta contro povertà, abbandono e, lui espressione del Sud, segregazionismo – anche se dall’altra parte, col rivale Barry Goldwater, si era schierato nientemeno che John Wayne.

E piansi allorquando, piegato dalla Guerra del Vietnam che aveva ereditato dal guerrafondaio Kennedy, nel 1968, Lyndon, l’anima piegata e sconfitta, non si ricandidò.

Impossibile arrivare al suo livello, perfino per Ronald Reagan: un presidente coi fiocchi, capace, ed è fondamentale, di affrontare e risolvere i problemi che l’esercizio del potere gli poneva.

Nixon?

Uno dei migliori, senza dubbio, in particolare per la scelta dei collaboratori e, naturalmente, per la politica estera, ma non l’ho amato.

Trascurabile – ma tutto ha congiurato contro di lui – Jimmy Carter.

Da rivedere – Henry Kissinger ne parla benissimo – la meteora Gerald Ford.

E’ tra gli sconfitti che, al di là di Johnson, si annidano i migliori, dal punto di vista davvero poco razionale che nel mentre scrivo queste righe mi guida.

Eugene McCarthy, mano mano ridotto al ruolo di comparsa nel 1968.

George McGovern, demolito a novembre nel 1972.

Per non parlare di Edmund Muskie, la meteora, annullato dalla campagna denigratoria avversa agli inizi della corsa sempre nel 1972.

Gente che credeva, che aveva ideologia e idee.

Perdenti, ideologia e idee (per moltissimi versi opposte alle mie), che avrebbero – ed hanno – portato alla sconfitta ma per le quali questi dimenticatissimi uomini combattevano.

Venendo all’oggi, certo, nessuno mi scalda il cuore come Johnson, ma nei due schieramenti, finalmente, ecco un paio di candidati ‘veri’, non in corsa per se stessi (come, è evidentissimo, Hillary Clinton e Donald Trump) ma per rappresentare un’idea: Bernie Sanders da una parte e Ted Cruz dall’altra.

Li comprendo, non posso essere d’accordo con loro se non in parte, ma li comprendo e li ammiro.

Perderanno?

Certamente, ma come tutti dovrebbero sapere, le uniche battaglie che vanno combattute sono quelle perse!