Voto popolare?

Premessa: 

l’elezione del Presidente degli Stati Uniti è una elezione di secondo grado.

Il “primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre” dell’anno bisestile vengono eletti Stato per Stato i Grandi Elettori (in totale cinquecentotrentotto) che successivamente – “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del seguente dicembre” – eleggeranno il Capo dello Stato.

Nel caso estremo in cui nessuno dei candidati abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei predetti Grandi Elettori (fossero cioè tre o più i pretendenti) la scelta verrà fatta dalla Camera dei Rappresentanti nel successivo gennaio.

In tale consesso, ogni Stato avrà diritto a un solo voto non contando più il numero degli abitanti invece determinante nella votazione novembrina quando di contro ciascuno ha un numero di delegati pari a quello dei propri parlamentari, Senatori più Rappresentanti.

Avendo quasi tutti gli Stati -quarantotto più il Washington DC, Nebraska e Maine i soli esclusi – 

adottato il metodo ‘Winner take all’ per l’attribuzione dei propri Grandi Elettori, è possibile (ed è effettivamente accaduto – l’ultima volta nel 2016 con Donald Trump – che il vincitore a livello nazionale per voto popolare perda quanto a delegati.

Occorre a tale proposito ricordare che gli USA sono uno Stato Federale nel quale ha particolare importanza e peso appunto ogni e ciascheduno Stato dell’Unione.

Le regole suddette (si ricorda, peraltro, che la scelta del metodo di attribuzione dei Grandi Elettori è di competenza statale la qual cosa spiega i differenti sistemi adottati come detto in Nebraska e nel Maine) valgono sostanzialmente dal 1804.

 

Ora, stranamente ma non troppo – elezioni del 1824 escluse (allora i partiti democratico e repubblicano non esistevano) – ogni qual volta il voto popolare non ha trovato corrispondenza nel risultato (sono stati cioè eletti i candidati perdenti a livello nazionale) lo sconfitto era un democratico e il vincitore un repubblicano.

Fatto è che se a livello di popolazione i ‘Blue States’ (quelli dell’asinello) hanno più abitanti, i ‘Red States’ (dell’elefante) sono più numerosi.

E, non importando il margine di vittoria quanto al suffragio popolare (un solo voto in più fa guadagnare tutti i delegati dei predetti quarantotto Stati più il DC e non ha rilevanza prevalere per migliaia o milioni di preferenze), non poche volte i repubblicani primeggiano.

 

Ora, se per ipotesi un notevole numero di Stati – ovviamente, a maggioranza democratica – cambiasse il proprio sistema di attribuzione dei Grandi Elettori di spettanza, le cose potrebbero mutare?

 

È di questi giorni la notizia di una iniziativa in corso per sconvolgere, addirittura scardinare l’intero organismo.

L’idea è questa: gli Stati aderenti approvano una legge che preveda che i Grandi Elettori di spettanza da inviare al Collegio Elettorale (così è denominata la riunione dicembrina sopra ricordata) si impegnino nella circostanza a votare per il Presidente rispettando non l’esito del voto del loro Stato ma quello popolare nazionale.

(‘National Popular Vote Interstate Compact’ la sigla adottata).

Una rivoluzione totale che sarà difficile da portare a termine e che troverà certamente forti resistenze che arriveranno nel caso fino a metterne in dubbio la costituzionalità di fronte alla Corte Suprema.

Interessante e molto tutto questo.