Il Federal Bureau scagiona Hillary a due giorni dal voto?

Lo scorso 29 ottobre, sotto il titolo ‘Hillary sulla graticola (di nuovo)’, parlando della lettera con la quale James Comey, direttore del Federal Bureau, aveva appena informato il congresso della apertura di una nuova inchiesta su Hillary Clinton, in queste colonne, esplicitamente scrivevo che v’era da temere che a due giorni dal voto lo stesso signore annunciasse invece il proscioglimento della stessa assestando a Trump il colpo del ko.

Così è stato!

Quando prevale l’etica…

La prima reazione di Trump

“Ora tocca agli americani fare giustizia nelle urne l’8 novembre”.

Così Donald Trump dopo la decisione del’Fbi di chiudere l’indagine sull’ex segretario di Stato.

“Clinton è colpevole.

Lei lo sa, l’Fbi lo sa e la gente lo sa”, ha detto Trump in un comizio a Sterling Heights, in Michigan.

“E’ incredibile, non si possono esaminare seicentocinquantamila email in otto giorni.

E’ un sistema totalmente falsato”, ha aggiunto.

Clinton in crisi anche in Virginia?

Non è che ci si capisca poi molto.

Il direttore del Federal Bureau Comey scagiona Hillary Clinton e la Electoral Map di Real Clear Politics la rappresenta in ulteriore difficoltà.

Già scesa a duecentosedici grandi elettori un paio di giorni fa, in queste ore la media dei sondaggi la dichiara in crisi anche in Virginia (tredici i delegati ai quali quello Stato ha diritto).

È difatti eccola accreditata di un preoccupante duecentotre.

Mancano oramai poche ore.

Poche ore e le carte saranno finalmente scoperte!

Tim Kaine a White House?

Vince Hillary e subito finisce nel tritacarne.

Mediatico, e sarebbe poco.

Politico, per via della avversa maggioranza congressuale.

Internettiano – si dice così? – per via delle migliaia di mail in possesso di Julian Assange e da lui non ancora pubblicate.

Così fosse – ed è almeno probabile che così sia- non è peregrino ipotizzare un suo più o meno veloce addio.

Arriverebbe, nel caso e pertanto, a White House il suo vice Tim Kaine al quale riuscirebbe in cotal modo di tirar fuori il coniglio dal cilindro.

Un bene?

Un male?

Dove si vota per i governatorati

Dodici gli Stati nei quali l’8 novembre si voterà per la carica di governatore.

(Si va alle urne anche a Portorico e nelle Samoa americane).

Per la bisogna, sono chiamati ad esprimersi Delaware, Indiana, Missouri, Montana, New Hampshire, North Carolina, North Dakota, Oregon, Utah, Vermont, Washington e West Virginia.

Al momento, i sondaggi danno per sicura la vittoria GOP nello Utah e in North Dakota. 

Per probabile quella in West Virginia.

Il partito dell’asino invece dovrebbe prevalere nel Delaware e probabilmente in Oregon, Washington, e Minnesota.

Indecifrabili gli altri.

Ad oggi, nel Paese, i governatori democratici sono in totale diciotto, quelli repubblicani trentuno mentre uno è indipendente.

Essere eletti prendendo meno voti!

L’abbiamo detto e ripetuto.

Il voto popolare nazionale conta ovviamente ma può non essere determinante.

Storicamente, in ben quattro occasioni colui che infine è andato alla Casa Bianca aveva difatti preso meno suffragi del competitore.

La prima volta capitò nel 1824, anno nel quale Andrew Jackson raccolse circa quarantamila consensi in più di John Quincy Adams ma fu alla fine battuto.

Così nel 1876 allorquando Rutherford Hayes prevalse su Samuel Tilden benché il rivale avesse oltre duecentoquarantamila suffragi in più.

Ancora nel 1888 perché vinse Benjamin Harrison pur raccogliendo centomila voti in meno di Grover Cleveland.

Infine, nel 2000, nella contestatissima tornata che vide vincere George Walker Bush su Al Gore benché quest’ultimo potesse contare su circa cinquecentoquarantamila preferenze in più.

A parte J. Q. Adams (nel 1824 GOP e democratici non esistevano) gli altri in grado di catturare White House con meno munizioni erano repubblicani.

Stia pertanto bene attenta Hillary Clinton!

Harper Polling: Pennsylvania in parità!

Suona forte l’allarme in casa democratica.

Harper Polling, in un recentissimo sondaggio riservato alla Pennsylvania, pone sullo stesso piano Hillary Clinton e Donald Trump: quarantasei pari.

È davvero grave per l’ex first lady perché fino a qualche tempo fa i dati locali le erano favorevoli amplissimamente.

Da sempre, si sostiene che per vincere occorre conquistare almeno due Stati tra questi: Florida, Ohio e, appunto, Pennsylvania.

Oggi, il trend appare colà contrario alla signora.

Vedremo.

Hillary e l’impeachment

L’abbiamo già detto.

Hillary Clinton non può dormire sonni tranquilli, anche e soprattutto in caso di vittoria.

Incombe perfino l’ipotesi di una messa in stato d’accusa, di un impeachment, dovesse prevalere.

Alla camera, i GOP avranno certamente i numeri per dare il via alla giostra.

E l’aria che tira non è delle migliori, quindi.

Non pochi i rappresentanti repubblicani che vanno assicurando che per lei non è assolutamente possibile prevedere la cosiddetta, tradizionale ‘luna di miele’.

Per sua fortuna, per quanto i GOP possano vincere anche al senato, impossibile raggiungano i numeri necessari per arrivare alla destituzione.

Dove troverebbero infatti la maggioranza qualificata dei due terzi per ottenerla?

Il voto per il Congresso

Timori fugati?

Parrebbe di sì.

‘Malgrado Donald Trump’, i sondaggi dicono che i repubblicani manterranno il controllo dei due rami del congresso.

Dovrebbero perdere un paio di seggi al senato e qualche scranno alla camera.

Niente di più.

Il Ku Klux Klan e George Foreman per Trump

Come la mettiamo?

Nel mentre Crusader, organo di stampa ufficiale del Ku Klux Klan conferma il proprio appoggio a Donald Trump, il grande George Foreman fa altrettanto dichiarandosi seguace di The Donald senza se e senza ma.

E Foreman, per quanti se ne fossero dimenticati o non lo sapessero, è un nero.

Il tycoon si è subito distanziato da Crusader mentre ha accettato con piacere l’endorsement dell’ex campione mondiale dei massimi.

Così va il mondo.