Nulla più democratico del Super Tuesday, vero?

Avete presente il Super Tuesday, il Supermartedì? Quel giorno normalmente d’inizio marzo dell’anno bisestile nel quale in America un pacco di Stati (addirittura ventitre nel 2008 in casa democratica) sono chiamati tutti assieme per ogni dove nel Paese alle urne attraverso Caucus e Primarie per eleggere con sistemi diversi – il winner take all relativo o assoluto piuttosto che il proporzionale eccetera – i delegati impegnati a votare l’uno o l’altro candidato alla Convention estiva?
È così mediaticamente identificato pressappoco dal 1988 e, con l’eccezione Gary Hart (d’altronde, in verità, prevalente tra gli Asinelli quattro anni prima), ha visto il pretendente all’investitura nella circostanza, magari per poco, vincente, infine, nella Convention, incardinato.
Grande esempio di democrazia indubbiamente, vero? Verrebbe voglia di rispondere positivamente a questa apparentemente inutile, in qualche modo provocatoria, domanda. Non fosse per un tarlo. Un dubbio. Mettete che dalle prime battute, Iowa, New Hampshire e uno o due altri Stati, un outsider, un apparente possibile dark horse, si sia palesato, dimostrando d’essere in grado sia pure quasi dilettantisticamente di affrontare senza un solido e sostenuto e costoso apparato una consultazione alla volta, come questo spauracchio dell’establishment partitico saprebbe affrontare il colossale impegno?
Il Super Tuesday, insomma, inteso ed organizzato non per dare assoluta voce al popolo ma al contrario per sottrargli possibilità, come dire?, estranee, poco gradite, magari, per l’eccentricità dimostrata, ritenute perdenti in seguito a novembre. È questo alla fine uno dei mezzi più articolati, sofisticati, che i due partiti egemoni hanno trovato per imbrigliare, domare e guidare il purosangue ‘voce libera al popolo’ che lasciato a se stesso chissà dove – alla perdizione temono – porterebbe Asini democratici ed Elefanti repubblicani quando si tratti di difendere il fortino uniti?

14 agosto 2024