Storia e storie di vicepresidenti

Ove si prescinda dai due ‘Padri della Patria’ John Adams (vicario per otto anni di Washington e poi presidente dal 1797 al 1801 a seguito delle elezioni datate 1796) e Thomas Jefferson (‘secondo’ dello stesso Adams e suo successore) – i quali, peraltro, approfittarono di un diverso sistema elettorale modificato nel 1804 – solo altri due vice sono arrivati a White House nel mandato successivo a quello nel quale erano stati ‘secondi’.

L’exploit è stato realizzato una prima volta da Martin Van Buren (già al fianco di Andrew Jackson nel secondo quadriennio di quest’ultimo), eletto nel 1836 e in carica dal 1837 al 1841, e da George Herbert Bush, vice per due mandati di Reagan e in carica, a seguito delle votazioni del 1988, dal 1989 al 1993.

Per inciso, sia l’uno che l’altro restarono a Washington solo quattro anni perché sconfitti nella successiva ricerca di una conferma.

Per il vero, un terzo vice presidente è riuscito in proprio (e cioè non per successione mortis causa o per dimissioni) a sedersi sullo scranno che fu di Lincoln e si tratta di Richard Nixon.

Sconfitto da Kennedy nel 1960, allorché era vicario di Eisenhower, vinse otto anni dopo.

Se si va, invece, a guardare quanto occorso ai vice a noi storicamente più vicini, Henry Wallace, già ‘secondo’ di F. D. Roosevelt nel suo terzo mandato, fu sconfitto nel 1948 da Harry Truman (e, per il vero, anche da Thomas Dewey e da Strom Thurmond, visto che arrivò quarto); Hubert Humphrey, vicario di Lyndon Johnson, fu battuto dal citato Nixon nel 1968; Walter Mondale, con Jimmy Carter dal 1977 al 1981, venne demolito da Ronald Reagan nel 1984.

Migliore (almeno per quanto riguarda il voto popolare a lui favorevole a livello nazionale) il risultato raggiunto da Al Gore, già vice di Bill Clinton dal 1993 al 2001, contro George Walker Bush nelle consultazioni del 2000, comunque perse sul filo di lana quanto a delegati.

Guardandoci alle spalle – e, visto che i precedenti contano, si può ipotizzare, per quanto azzardato, nel 2016, un ‘ritorno’ di Al Gore o di John Kerry – nella lunga storia delle presidenziali si sono dati molti, incredibili casi di ‘resurrezione’ di candidati anche se bocciati in un maggior numero di occasioni.

Ecco, in ordine di tempo, i pretendenti alla Casa Bianca in grado di raggiungerla dopo una o più sconfitte: John Adams, due volte battuto da Washington (1789 e 1792), vinse nel 1796; Thomas Jefferson, sconfitto proprio da Adams nel 1796, si affermò nel 1800; John Quincy Adams, perse le elezioni nel 1820 (vinse Monroe), si rifece quattro anni dopo sconfiggendo Andrew Jackson che, a sua volta, si prese la rivincita nel 1828; William Harrison, battuto nel 1836 da Van Buren, lo sconfisse nel 1840; Grover Cleveland, presidente eletto nel 1884, fu sconfitto nel 1888 da Benjamin Harrison ma tornò in carica a seguito delle elezioni del 1892; come ricordato, Richard Nixon, battuto nel 1960 da Kennedy, si impose poi nel 1968.

D’altra parte, assai numerosi sono altresì i candidati più volte ripropostisi e mai in grado di vincere.

I maggiormente significativi sono: George Clinton (due sconfitte: 1792 e 1808), C.C. Pinckney (tre stop: 1800, 1804, 1808), Henry Clay (tre: 1824, 1832, 1844), William Jennings Bryan (quattro: 1896, 1900 e 1908 nella ‘corsa’ finale e 1904 alla Convention democratica), Thomas Dewey (due: 1944 e 1948), Adlai Stevenson (due: 1952 e 1956).

Un caso a parte è quello del socialista Eugene Debs che perse quattro elezioni: 1904, 1908, 1912 e 1920, ma si trattava di un candidato ‘di bandiera’, senza effettive possibilità di vittoria.

Nella oramai più che bisecolare storia delle presidenziali USA, in molteplici occasioni, tra un quadriennio e l’altro, il presidente in carica e in cerca di una riconferma ha cambiato il proprio vice (per la dovuta precisione, solo dopo la riforma elettorale del 1804 ciò è stato possibile, considerando che in precedenza veniva eletto Capo dello Stato il candidato che riportava più voti elettorali e vice presidente chi si classificava secondo, anche se appartenente ad un diverso partito).

James Madison (eletto nel 1808 e nel 1812), fu colui che inaugurò questa particolare ‘staffetta’ potendo contare dapprima sul vice George Clinton e poi su Elbridge Gerry.

Andrew Jackson (vittorioso nel 1828 e nel 1832) poté, a sua volta, far conto dapprima su John Calhoun e dopo su Martin Van Buren.

Abramo Lincoln (eletto nel 1860 e nel 1864) nel primo quadriennio fu scortato da Hannibal Hamlin e nei giorni iniziali del suo secondo mandato da Andrew Johnson che, dopo il suo assassinio, lo sostituì nella carica.

Ulisse Grant (vincitore nel 1868 e nel 1872) fu affiancato da Schuyler Colfax e poi da Henry Wilson.

Grover Cleveland – l’unico presidente che abbia ricevuto due mandati non consecutivi (vinse, infatti, nel 1884 e nel 1892) – ebbe quale primo vice Thomas Hendricks e quale secondo Adlai Stevenson, nonno del futuro ed omonimo candidato a White House.

William McKinley (eletto nel 1896 e nel 1900) fu affiancato prima da Garrett Hobart e in seguito, per qualche mese visto che gli subentrò a causa del suo assassinio, da Theodore Roosevelt.

Maggiormente complessa la vicenda legata ai diversi vice di Franklin Delano Roosevelt (vittorioso nel 1932, 36, 40 e 44) il quale ebbe al proprio fianco per i primi otto anni John Garner, nel terzo quadriennio poté contare su Henry Wallace e, alla fine, su Harry Truman che lo sostituì dopo la sua improvvisa dipartita.

L’ultimo caso di cambio del vice presidente è del tutto anomalo e riguarda Spiro Agnew il quale, nominato con Nixon nel 1968 e nel 1972, nell’ ottobre del 1973 fu costretto, a seguito di numerosi scandali, a dare le dimissioni.

In base alle procedure stabilite dal XXV emendamento, gli subentrò Gerald Ford che approderà infine alla Casa Bianca in luogo dell’altrettanto dimissionario Nixon.

Come si vede, sostituire il compagno di ticket non porta bene: quattro su otto tra i presidenti che l’hanno fatto non hanno concluso il loro ultimo mandato!