Candidarsi in un solo Stato

Due o tre (mila?) righe introduttive.

Va ricordato – e non mai abbastanza volte ripetuto – che l’elezione del presidente americano non è ‘diretta’ ma di ‘secondo grado’.

Il prossimo 8 novembre (come sempre in passato e in futuro) – per quanto si dica il contrario e si affermi che i giochi sono fatti – Stato per Stato, non si voterà per Trump o Hillary (o chiunque altro ancora) ma saranno scelti i ‘grandi elettori’ che, dopo, in una successiva riunione formale, formalizzeranno la nomina.

Il numero totale di questi ‘elettori’ – escludendo Nebraska e Maine che hanno regole diverse, si catturano prevalendo localmente per suffragi popolari col sistema ‘winner take all’ – è di cinquecentotrentotto e per conseguenza la maggioranza assoluta da conquistare per ottenere lo scranno è di duecentosettanta.

Nel caso in cui un terzo (un quarto, un quinto…) candidato oltre ai due oramai storici (dal 1856, primo confronto diretto, quello espresso dai democratici e quello repubblicano) riesca a prevalere in termini di voti popolari in uno o più Stati acquisendo i delegati relativi, può capitare – è successo nel 1824 – che nessuno dei pretendenti a White House raggiunga il predetto quorum.

In tale ipotesi, la scelta spetta alla camera dei rappresentanti che decide, escludendo gli altri eventuali, tra i primi tre classificati votando ‘per delegazione’ (non si esprimono, quindi, i singoli rappresentanti ma le cinquanta – tanti sono gli Stati – rappresentanze territoriali).

Le candidature alla Casa Bianca dei due partiti maggiori sono, evidentemente, presentate in tutti gli Stati (e inoltre nel Distretto di Columbia).

Altrettanto – per stare all’oggi – cercherà certamente di fare almeno il Libertarian Party di Gary Johnson.

(Quanto ai verdi di Jill Stein, vedremo).

Ma è possibile – seguendo le procedure statuali – proporre una candidatura anche solo in uno Stato (o due, tre, quattro…).

E, per quanto non abbiano speranza alcuna nella quasi totalità dei casi, numerosissimi sono gli indipendenti o gli esponenti di movimenti minori – locali o non organizzati dappertutto che siano – che corrono in codesto modo.

Quali le ragioni della loro discesa in campo?

La principale è quella di rappresentare istanze locali non accolte dall’asinello o dall’elefantino.

La seconda – spesso presente – di proporre idee o ideologie minoritarie (partiti dei lavoratori, socialisti, comunisti e chi più ne ha più ne metta).

Venendo all’oggi e alle continue manifestazioni interne al GOP per contrastare Donald Trump.

Due le possibili intraprese che possono condurre (difficilissimamente) ad esiti diversi.

La prima – e Bill Kristoll, come detto, avrebbe tirato fuori dal cilindro il nome di David French – è quella di un candidato a livello nazionale di matrice repubblicana che cerchi di vincere in uno o più Stati con le conseguenze sopra illustrate.

La seconda è appunto quella di trovare candidati alternativi al tycoon nuovaiorchese, se non ovunque, almeno negli Stati incerti, i cosiddetti ‘Swing States’.

In tale diversa prospettiva, invero, non si correrebbe per arrivare ai tre mitici pretendenti posti di fronte alla camera, ma, alla fin fine e per quanto non esplicitamente detto, per far pendere la bilancia a favore di Hillary Clinton.

Un ‘muoia Sansone con tutti i Filistei’!

E’ pur vero che anche la candidatura su base nazionale – cercando voti conservatori – finirebbe, se non impedisce il raggiungimento del quorum sopra ricordato, per favorire l’ex first lady.

In ogni caso, non si vede come una evoluzione di una di queste fatte potrebbe evitare di essere accusata dal GOP ufficiale, per quanto non felice (diciamo così) della scelta popolare per Trump, di tradimento

Infine – lo preciso ben sapendo che Kristoll e soci lo sanno perfettamente – la Storia ci dice che mai (perfino lo straordinario Teddy Roosevelt fallì l’impresa) un terzo è riuscito a prevalere.

Ma che campagna interessante!!!