I tempi non sono ‘normali’

“Nei periodi tranquilli della nostra vita pubblica il sistema dei partiti sembra una istituzione meravigliosamente unitaria.
Suo scopo è di nascondere, comporre e mettere a tacere i grossi conflitti e di confinare il dibattito sugli stessi nell’ambito delle Regioni e degli Stati per impedire che diventi un motivo di divisione per l’intera Nazione.
In tempi normali, gli elettori sono chiamati a scegliere, il giorno delle votazioni, tra uomini e partiti che in realtà dicono le stesse cose.
Il sistema non è apprezzabile da un punto di vista intellettuale, ma ha rappresentato in pratica il test dell’unità nazionale”.
Così, il 28 luglio 1968, Walter Lippman.
(E va qui sottolineato come il famoso e perspicuo politologo – rarissimo che uno studioso in cotal modo definibile sia di grande capacità e rilievo come nel caso invero fu – analista a quella temperie da decenni imperante, subito dopo, assolutamente non dimentico della lacerante Guerra del Vietnam in corso – tema ovviamente, se non unico con le conseguenze morali e sociali causate, dominante la campagna nel ‘68 in atto – aggiunga:
“È questo un momento del genere.
È difficile distinguere Humphrey da Nixon ascoltando le loro pubbliche dichiarazioni sulla Guerra, sull’intervento nelle Regioni Asiatiche, sulle gigantesche spese militari, sulla violenza e sulla gravità dei nostri problemi interni”).
Orbene, qualcuno – dal 2016 certamente ma altresì da ben prima – ritiene tuttora condivisibile, applicabile, una delle asserzioni (sostanzialmente, quando vergate, pressoché inattaccabili) di Lippman?
Una almeno?
È “il sistema dei partiti una istituzione meravigliosamente unitaria” quando democratici e repubblicani opposti e contrapposti in radice, ideologicamente, idealmente, politicamente, socialmente, eticamente, giuridicamente, in ogni prospettica ipotesi e conseguente azione si battono?
Sono stati, sono – perfino a proposito della Guerra – praticamente indistinguibili come Humphrey e Nixon (ciascuno, anche, secondo formazione, educazione e maniera),
George Walker Bush e Al Gore nel 2000,
Barack Obama, nel 2012 con Mitt Romney
soprattutto, Hillary Rodham Clinton e Donald Trump nel 2016?
meno, ma insomma, lo stesso tycoon e Joe Biden?
Si può arrivare ancora a dire che “il sistema rappresenta in pratica il test dell‘unità nazionale?” nel mentre due – insofferenti e disprezzanti l’una l’altra – sono oggi di tutta evidenza le Americhe?
Le riposte sono (non possono che essere) negative.
Ma attenzione alle eccessive semplificazioni.
Come in ogni e qualsiasi campo, nel mondo, per le più varie ragioni (quelle tecnologiche, per prime) il da tutti promesso ‘cambiamento’, inarrestabile, che procede per proprio conto, è sempre più rapido.
La società americana – ci mancherebbe altro, ma il riferimento è al vortice sociale – cambia e fenomeni di non breve momento, in qualche modo decenni o perfino pochi anni fa se non programmabili dipoi gestibili, tali non sono più.
Viviamo tempi complicati.
Molto molto bene: impossibile annoiarsi!