La Fondazione Italia USA ha seguito tutta la campagna elettorale americana per le elezioni presidenziali del 2020 con i commenti esclusivi di Mauro della Porta Raffo, saggista e giornalista, presidente onorario della Fondazione Italia USA, uno dei più qualificati esperti a livello internazionale di storia politica degli Stati Uniti e elezioni presidenziali americane. Tra i suoi numerosi libri, “Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente” (2002), “I signori della Casa Bianca” (2005), “Americana” (2011), “USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna elettorale del 2016” (2015), “Le Cinquantuno Americhe” (2019), “USA 2020, tracce storiche, politiche, istituzionali” (2020).

In conclusione, annotazioni storiche sul Collegio Elettorale

Votando il ticket democratico Joe Biden/Kamala Harris l’Electoral College – organo creato per la bisogna dai Costituenti – ha provveduto per la 58ª volta alla nomina del Presidente degli Stati Uniti d’America.
Una in meno rispetto alle 59 cosiddette Presidenziali.
Questo perché nel 1824, 4 essendo i candidati in grado di conquistare i Grandi Elettori e nessuno tra loro capace di arrivare alla maggioranza assoluta necessaria, il Collegio non fu in grado di deliberare e la competenza, secondo il disposto del XII Emendamento datato 1804, passò alla Camera dei Rappresentanti.
A parte George Washington – che per due volte nell’ambito fu eletto all’unanimità – storicamente il successo di maggiore portata si registrò nel 1984, quando Ronald Reagan conquistò 525 Delegati al Collegio su 538 e 49 Delegazioni su 51 (con il District of Columbia, ogni volta immancabilmente democratico, votò contro solo il Minnesota, terra d’origine del contendente Walter Mondale).
Ancora storicamente, la decisione più ‘stretta’ si registrò a seguito delle elezioni del 1876, quando, fu necessario ricorrere ad un Compromesso (denominato ‘del 1877’).
Non essendo risultato possibile attribuire i Grandi Elettori di 3 Stati, il repubblicano Rutherford Hayes prevalse sul democratico Samuel Tilden per 185 a 184 essendo 369 i membri dell’organo.
Nella circostanza, un secondo primato, visto che la votazione del Collegio infine convenuta ebbe luogo nella notte del 2 marzo 1877, meno di due giorni prima dell’Insediamento, all’epoca fissato al 4 marzo dell’anno successivo a quello elettorale.
Ben noto il fatto che il numero di Grandi Elettori conquistato dai candidati e quindi a loro collegati non dipende dal voto popolare nazionale ma da quello conseguito nei singoli Stati.
4 le occasioni – tutte favorevoli al repubblicano – nelle quali è stato conseguentemente eletto dal Collegio il meno votato: nel 1876 (il citato Rutherford Hayes), nel 1888 (Benjamin Harrison), nel 2000 (George Walker Bush) e nel 2016 (Donald Trump).
Infine, per quanto non sia mai accaduto che successivamente il voto dell’Electoral College non venisse ratificato, la definitiva certificazione della nomina si ha quando il nuovo Congresso, normalmente il 6 gennaio seguente l’elezione novembrina, si esprime in merito in una riunione presieduta dal Vice Presidente in carica.
Cosa interessante, che comporterà nel 2021, con lo sconfitto Mike Pence alla guida, una non rarissima ma poco consueta situazione.

Nota bene:
I Grandi Elettori sono costituzionalmente liberi di votare anche differentemente rispetto agli impegni presi (ricordo che 4 anni fa in 7 non si espressero né per Trump né per Hillary Clinton). Peraltro, oltre 30 Stati con loro normative hanno in proposito deliberato che questo non debba accadere.

Il discorso di Joe Biden dopo il voto dell’Electoral College

“È tempo di voltare pagina. Di unirsi. Di trovare un accordo, una conciliazione”.
Così, Joe Biden nel discorso pronunciato a Wilmington alcune ore dopo essere stato formalmente nominato Presidente dal Collegio dei Grandi Elettori.
Correva ancora il 14 dicembre 2020.
Ciò detto – difficile a dir poco il ‘clima’ continuando Donald Trump a non riconoscere il risultato elettorale cosa che il democratico ha stigmatizzato – il futuro 46° Capo dello Stato USA si è richiamato alla “volontà del popolo che ha prevalso!”
Invero problematico sostenerlo in genere essendo il sistema elettorale americano all’opposto indirizzato.
I ‘Founding Fathers’ erano fortemente elitari e crearono, proprio perché contrari dichiaratamente al voto popolare e pertanto alla Democrazia come dipoi intesa, il Collegio ieri impegnato che doveva essere formato da ‘Electors’, con l’iniziale maiuscola per distinguerli dai ‘comuni’ elettori con la prima lettera minuscola.
E per lunghi, lunghi decenni, come si operava nella scelta dei componenti il consesso?
Ancora una volta non attraverso il suffragio dei cittadini ma per mezzo dei Legislatori.
Doppio, pertanto, il filtro.
E si rammenti che la Costituzione non pone vincolo alcuno al comportamento dei Grandi Elettori al momento del voto potendo essi seguire l’impegno preso o meno.
Limiti del tutto arbitrari per gli ‘Originalisti’ quelli adottati dopo, nel tempo anche recente, da oltre una trentina di Stati secondo la teoria ‘evoluzionista’ e a ben vedere incostituzionali.

Il voto del Collegio. Gli Stati a favore di Donald Trump

(48 dei 50 Stati – ed in più il District of Columbia – votano a novembre per i Grandi Elettori con il ‘Winner takes all method’.
Non così il Maine e il Nebraska i cui Delegati sono eletti separatamente).

Alabama
Alaska
Arkansas
Florida
Idaho
Indiana
Iowa
Kansas
Kentucky
Louisiana
Mississippi
Missouri
Montana
North Carolina
North Dakota
Ohio
Oklahoma
South Carolina
South Dakota
Tennessee
Texas
Utah
West Virginia
Wyoming

Il voto del Collegio. Gli Stati a favore di Joe Biden

(48 dei 50 Stati – ed in più il District of Columbia – votano a novembre per i Grandi Elettori con il ‘Winner takes all method’.
Non così il Maine e il Nebraska i cui Delegati sono eletti separatamente).

Arizona
California
Colorado
Connecticut
Delaware
District of Columbia
Georgia
Hawaii
Illinois
Maryland
Massachusetts
Michigan
Minnesota
Nevada
New Hampshire
New Jersey
New Mexico
New York
Oregon
Pennsylvania
Rhode Island
Vermont
Virginia
Washington
Wisconsin

Joe Biden prevale 306 a 232

Il voto Stato per Stato del Collegio Elettorale.

Vermont 3 per Biden
Maryland 10 per Biden
South Dakota 3 per Trump
Kansas 6 per Trump
Arizona 11 per Biden
Wisconsin 10 per Biden
Kentucky 8 per Trump
Ohio 18 per Trump
North Carolina 15 per Trump
Rhode Island 4 per Biden
Virginia 13 per Biden
Pennsylvania 20 per Biden
New York 29 per Biden
Connecticut 7 per Biden
Georgia 16 per Biden
Delaware 3 per Biden
Nevada 6 per Biden
Iowa 6 per Trump
South Carolina 9 per Trump
Arkansas 6 per Trump
Illinois 20 per Biden
Oklahoma 7 per Trump
Mississippi 6 per Trump
Indiana 11 per Trump
New Hampshire 4 per Biden
Tennessee 11 per Trump
Michigan 16 per Biden
Idaho 4 per Trump
District of Columbia 3 per Biden
Colorado 9 per Biden
West Virginia 5 per Trump
Minnesota 10 per Biden
Florida 29 per Trump
New Mexico 5 per Biden
Utah 6 per Trump
Louisiana 8 per Trump
Alabama 9 per Trump
Wyoming 3 per Trump
North Dakota 3 per Trump
Maine 3 per Biden 1 per Trump
Nebraska 4 per Trump 1 per Biden
Alaska 3 per Trump
New Jersey 14 per Biden
Washington 12 per Biden
Massachusetts 11 per Biden
Missouri 10 per Trump
Texas 38 per Trump
Montana 3 per Trump
Oregon 7 per Biden
California 55 per Biden
Hawaii 4 per Biden.

Il ‘Dilemma del rivoluzionario’ e quello ‘del riformatore’

“Il ‘Dilemma del rivoluzionario’ sta nel fatto che la maggior parte delle rivoluzioni scoppiano per opposizione a ciò che viene ritenuto un abuso di potere.
Ma quanti più obblighi vengono rimossi, tanto è maggiore la forza che deve essere impiegata per ricreare un senso del dovere.
Di conseguenza, spesso, il risultato di una rivoluzione è un incremento del potere centrale: e questo è tanto più vero quanto più vasta e profonda è stata la rivoluzione.
Il ‘Dilemma del riformatore’ è esattamente il contrario.
Quanto più viene estesa la possibilità di scelta, tanto più difficile diventa tenerla sotto controllo ed entro limiti prestabiliti”.
(Henry Kissinger, ‘On China’, 2011, trattando di Mao Zedong e Deng Xiaoping).
Difficile, a mio modo di vedere, a questa stregua, considerare ‘canonica’ la Rivoluzione Americana.
Fu necessario dopo “ricreare un senso del dovere”?
Ebbe per conseguenza “un rafforzamento del potere centrale”?
Quanto al secondo punto, certamente no, tanto impalpabili risultarono gli ‘Articoli di Confederazione’, il primo tentativo di regolare l’amministrazione del neonato Paese.

Le elezioni americane e i giorni della settimana

Premessa:
mentre il giorno nel quale ha luogo la cerimonia dell’Insediamento (dal 1937, il 20 gennaio dell’anno successivo a quello elettorale), così come quello nel quale hanno inizio le Legislature (il 3 gennaio sempre dell’anno successivo eccetera) sono determinati per Emendamento o per legge, non altrettanto accade per importantissime scadenze.
In proposito, guardando appunto ai giorni della settimana:

Lunedì:
la disposizione del 1845 che ha stabilito che dal successivo 1848 il voto (cosiddetto presidenziale e in verità teso alla nomina dei Grandi Elettori) debba avere luogo in un solo giorno sostanzialmente recita che le ventiquattro ore in questione devono corrispondere al “primo martedì dopo il primo lunedì” del mese di novembre dell’anno bisestile.
È quindi facilmente individuabile quando si voterà in tutte le prossime occasioni.
Inoltre, dal 1936, è fissata al “primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre” (una semplice consultazione dei calendari soccorre) dell’anno elettorale la riunione del Collegio dei Grandi Elettori che effettivamente vota per il Presidente.

Martedì:
il secondo giorno della settimana – come sopra vergato – è quello nel quale devono avere svolgimento Stato per Stato le a loro volta citate votazioni per l’indicazione degli spettanti Delegati.
Si è così stabilito perché (lo ripeteremo parlandone nelle ultime righe, a quel punto solo per accenno) di Domenica nella società dell’epoca si riteneva non fosse possibile votare in quanto dedicata al Signore e, dovendosi lasciare il modo agli elettori di recarsi ai seggi spesso allora lontani, si stabilì che il lunedì fosse a questo scopo usato.

Mercoledì:
viene considerato (“dopo il secondo mercoledì” eccetera) nella citata determinazione delle 24 ore nell’ambito delle quali deve riunirsi e votare il Collegio alla bisogna, come sopra detto, formato.
Questo solo dal 1936 in conseguenza del disposto dell’Emendamento del 1933 che aveva anticipato, a far luogo dalle seguenti cosiddette Presidenziali, dal 4 marzo al 20 gennaio (sempre dell’anno seguente eccetera) l’entrata in carica del Capo dello Stato.
Fra l’altro, e incise, tradizionalmente, i mercati all’aperto, certo non dovunque ma insomma, avevano svolgimento proprio di mercoledì.

Domenica:
essendo (la norma conseguente è ancora quella del 1845) il giorno dedicato al Signore, non poteva essere quello delle votazioni.

Vota il Collegio dei Grandi Elettori

Non poche le manifestazioni a sostegno di Donald Trump nel Paese e nella capitale federale in particolare.
Del resto, un recentissimo sondaggio ha riportato che ben il 77 per cento degli elettori repubblicani è convinto che davvero il 3 novembre scorso “il voto sia stato rubato” dai democratici.
Tafferugli, qualche ferito, alcuni arresti…
La situazione – respinte le molte azioni giuridiche (ivi compresa, dalla Corte Suprema, quella del Texas alla quale avevano dato sostegno altri 17 Stati) intraprese dai trumpiani – è per quanto possibile ‘normale’.
Tutti i 50 Stati e il District of Columbia hanno certificato la composizione delle proprie Delegazioni.
Grosso modo, a partire dalle ore locali (diversi i fusi orari) e fino al primissimo pomeriggio, nelle capitali prenderanno il via (volendo, Covid malgrado, con qualche solennità) le prescritte pubbliche votazioni i cui risultati porteranno alla conclusione, oramai inevitabile: l’elezione del 46° Presidente Joe Biden!
Tutto da verificare, fino all’ultimo, il comportamento di Trump.

Quando i Senatori lasciano il passo ai Rappresentanti

Cosa succede se il Collegio non nomina – qualsiasi sia la ragione – il Presidente lo abbiamo altre volte detto.
La competenza passa alla Camera dei Rappresentanti giusta la disposizione in merito del XII Emendamento datato 1804.
Nella seduta del Congresso nella quale dovrebbero essere ratificati i verbali delle diverse riunioni locali del Collegio Elettorale, preso atto della situazione, i Senatori abbandonano l’aula lasciando il passo ai soli membri della Camera Bassa.
La votazione è per Delegazione (sono di più i componenti dem o quelli rep?) contando uno tutti gli Stati a prescindere dal numero degli abitanti ragione per la quale lo spopolato Wyoming e la densamente popolata California ‘pesano’ lo stesso.
È accaduto una sola volta.
Era il 9 febbraio 1825.

Lo svolgimento dei lavori del Collegio Elettorale

Lunedì 14 dicembre, nelle città capitali dei 50 Stati nonché, per quanto riguarda il District of Columbia, a Washington, avranno luogo, convocate tra il mezzogiorno e le due del pomeriggio, le votazioni locali per la nomina da parte degli ‘Electors’, con l’iniziale maiuscola, facenti parte del Collegio a tal fine a suo tempo ideato e quadriennalmente formato, del futuro Presidente.
538 dalla tornata del 1964 i Grandi Elettori, ragione per la quale la maggioranza assoluta è fissata a 270.
Vengono, al termine della di solito, per quanto solenne, breve cerimonia, che prende il via con il voto separato a favore del candidato Presidente e del Vice, firmati ad opera di ciascuno dei partecipanti 6 certificati che devono essere trasmessi a chi di dovere.
A Mike Pence in quanto presiederà la prima riunione della Legislatura dal 3 gennaio.
2 al Segretario di Stato.
2 agli Archivi Nazionali.
1 al Giudice Federale che assisterà alla riunione.
51 i conseguenti documenti.