La Fondazione Italia USA ha seguito tutta la campagna elettorale americana per le elezioni presidenziali del 2020 con i commenti esclusivi di Mauro della Porta Raffo, saggista e giornalista, presidente onorario della Fondazione Italia USA, uno dei più qualificati esperti a livello internazionale di storia politica degli Stati Uniti e elezioni presidenziali americane. Tra i suoi numerosi libri, “Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente” (2002), “I signori della Casa Bianca” (2005), “Americana” (2011), “USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna elettorale del 2016” (2015), “Le Cinquantuno Americhe” (2019), “USA 2020, tracce storiche, politiche, istituzionali” (2020).

E se un GOP ‘ortodosso’ sfidasse Trump?

Lo sapete, Donald Trump non è stato né viene percepito dai repubblicani duri e puri, ortodossi, come uno di loro.

L’ala centrista GOP non lo sopporta.

È possibile pertanto pensare a una sfida interna per la nomination tra primarie e caucus?

Soprattutto oggi, quando Mitt Romney è tornato in gioco politicamente avendo conquistato uno scranno senatoriale?

Nella storia recente o quasi delle presidenziali USA, in due occasioni il Capo dello Stato uscente e in cerca di conferma si è visto preliminarmente sfidare da un compagno di partito.

Nel 1976, Gerald Ford – repubblicano – dovette fronteggiare l’impeto di Ronald Reagan (che si rifece quattro anni dopo).

Nel 1980, Jimmy Carter – democratico – quello di Ted Kennedy.

In entrambi i casi il Presidente prevalse salvo poi perdere la successiva corsa con il contendente del partito rivale.

Napoleone e il Federal Bureau of Investigation (FBI)

La rinnovata ‘Speaker’ della Camera dei Rappresentanti USA, Nancy D’Alesandro Pelosi, è nata a Baltimora, Maryland.

E mi sovviene che proprio a Baltimora è altresì nato il reale fondatore (nel 1908) del Federal Bureau of Investigation – l’FBI insomma – che agli inizi fu invero denominato solo Bureau of Investigation.

‘Vero’ fondatore, essendo J. Edgar Hoover – mitico direttore per mille anni dei ‘G-men’ – invece l’uomo che rinnovò e rese incisivo l’istituto.

E chi era questo signore – in quell’anno Attorney General sotto Theodore Roosevelt – se non il pronipote di Napoleone?

Dovete sapere che il fratello minore del Corso, Girolamo, in prime nozze, aveva sposato Elisabetta Patterson, figlia di un commerciante originario della città che ancora oggi è il più importante porto degli Stati Uniti.

Dalle nozze, nacque Girolamo Napoleone Bonaparte, a propria volta mercante e padre di – eccoci qua – Charles Joseph Bonaparte, come detto pertanto pronipote di Napoleone e anello di congiunzione tra l’imperatore e il Bureau!

“Tout se tien, n’est-ce pas?”

Nancy Pelosi nuovamente in sella

Le persone educate non chiedono né (se la conoscono) rendono mai nota l’età delle Signore.

Così il Galateo.

Vale questa regola anche oggi nell’epoca nella quale con un semplice clic chiunque può sapere molto di più a proposito di chiunque altro?

Nancy D’Alesandro Pelosi compirà settantanove anni il prossimo 26 marzo.

Certo, è stata un ‘crack’ politicamente parlando.

Lo è ancora.

Ma, ci si chiede, in quali condizioni sia il partito democratico se per il ruolo importantissimo di ‘Speaker’ della Camera dei Rappresentanti è obbligato a ricorrere di bel nuovo a lei?

Di bel nuovo, perché la Signora ha ricoperto lo stesso incarico (uno fra i tanti nel corso di una prestigiosa carriera) tra il 4 gennaio 2007 e il 3 gennaio 2011.

Possibile che gli asinelli non possano presentare, proporre uno straccio di esponente di peso più giovane?

Manca solo che davvero candidino alla Casa Bianca il settantaseienne Joe Biden.

Ciò detto e sottolineato, i migliori auguri alla gentile Signora!

Il 116° Congresso e non solo

Si è riunito il 3 gennaio (come dispone la legge) a Washington il rinnovato Congresso degli Stati Uniti d’America.

Nella circostanza, il 116°.

Come noto, i Rappresentanti (i nostri deputati, pressappoco) sono 435 e hanno un mandato biennale.

La Camera nella quale operano viene totalmente rinnovata il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre sia in coincidenza con le presidenziali che in occasione (come il trascorso 6 novembre 2018) delle cosiddette elezioni di ‘medio termine’.

I Senatori, invece, hanno un mandato di sei anni e vengono rinnovati per un terzo ogni biennio.

L’elezione è diretta sia per i Rappresentanti che per i Senatori.

Così, dopo l’approvazione dell’Emendamento del 1913, perché in precedenza i membri della Camera Alta venivano nominati dai Parlamenti dei singoli Stati.

Il Congresso da oggi operativo vede una maggioranza democratica alla Camera Bassa e una repubblicana al Senato.

Situazione difficile per l’amministrazione Trump ma usuale essendosi esiti elettorali simili verificati più volte nella storia.

Di particolare importanza però – va sottolineato – il fatto che il GOP possa contare su una maggioranza senatoriale buona anche se non eccezionale.

Questo perché le nomine presidenziali per quanto riguarda i Giudici della Corte Suprema e Federali, i ministri (Segretari di Stato) e gli ambasciatori devono essere colà ratificate non avendo nessuna voce in merito la Camera dei Rappresentanti.

Per inciso, i Rappresentanti sono 435 perché così ha determinato una legge del 1929.

Ogni Stato ha Rappresentanti in proporzione al numero dei suoi abitanti come determinato dall’ultimo censimento.

(La rilevazione statistica nazionale ha luogo ogni decennio nell’anno con finale zero).

All’interno, è suddiviso in tante circoscrizioni elettorali quanti sono gli eligendi.

I Senatori sono 100 non perché in cotal modo reciti qualche disposizione ma in quanto 2 per ogni Stato.

50 attualmente gli Stati, 100 i Senatori.

Alla Camera è rappresentato il popolo.

Quindi e pertanto, maggiore il numero degli abitanti maggiore quello degli eletti.

Al Senato sono rappresentati gli Stati.

Avendo ogni realtà statale pari dignità, hanno 2 scranni alla Camera Alta sia la California (oggi, popolatissima) che, per dire, la desolata Alaska.

Cattolici USA oggi

Ricordate?

1928, Alfred Smith, primo cattolico in grado di farlo, conquista la nomination democratica e corre per White House contro il repubblicano Herbert Hoover?

Tuoni e fulmini.

È un ‘papista’, si grida.

Ove fosse eletto governerebbe il Papa, si sostiene.

E perde.

Non solo per queste ‘accuse’ certamente.

1960, il cattolico John Fitzgerald Kennedy arriva alla Convention democratica e il vecchio ex Presidente Harry Truman gli si oppone specificando “Non è il Papa (‘Pope’) che mi preoccupa, è il papà (pop)!”, con riferimento ai trascorsi poco limpidi di Joseph Kennedy ma evitando di calcare la mano sull’appartenenza religiosa di John.

I tempi sono cambiati e in tutta la conseguente campagna nessuno attaccherà Kennedy in proposito.

Dipoi, molti i cattolici proposti dall’asinello per i più svariati incarichi.

Dall’asinello.

Non dall’elefantino.

Restano per lunghi decenni i repubblicani su posizioni di retroguardia quanto al cattolicesimo.

Restano ‘wasp’: ‘white, anglo-saxon, protestant’.

‘Protestant’!

‘Col tempo maturano le nespole e la canaglia’, recita un antico adagio (non che i GOP siano canaglia, per carità, si fa per dire), e le cose, venendo in qua, mutano.

Si arriva al punto che – incredibilmente (non tanto) convergendo le posizioni ‘destre’ degli evangelici in particolare (colonna portante repubblicana in molti Stati) con quelle cattoliche in fatto di forte opposizione all’aborto, ai matrimoni gay, alle cosiddette ‘riforme liberal’ che sempre più prendono piede tra i democratici – un cardinale di Santa Romana Chiesa partecipa benedicente alla Convention GOP mentre non pochi tra quanti ai tempi venivano bollati come ‘papisti’ proprio dai repubblicani si fanno largo nel partito trovando spazio e possibilità.

E, arrivando all’oggi, al clima esasperatamente ‘politically correct’ che ha pervaso i dem, occorre che il fatto di appartenere alla Chiesa di Roma comporti l’essere messi sotto attenta osservazione, se non accusa, proprio da buona parte degli aderenti al partito che fu di Alfred Smith e di John Kennedy!

Accade – per testimoniare con i fatti – che in Senato esponenti democratici di peso mettano in dubbio l’indipendenza di una autorevole candidata a un posto di Giudice Federale in Nebraska in ragione della sua religione.

“Le cose cambiano”, diceva David Mamet.

Quasi sempre in peggio!

Democratici sulla rampa di lancio

Ok, Elizabeth Warren è già scesa in campo.

Ha costituito un Comitato Elettorale che deve valutare le sue reali possibilità di ottenere, per cominciare, la nomination democratica.

Non pochi, però, nel partito dell’asino i possibili (non ancora probabili) pretendenti.

Alcuni, intenzionati.

Altri, sotto osservazione.

Altri ancora, apparentemente distaccati ma pronti a rispondere ad una eventuale chiamata.

I media, per cominciare, venderebbero l’anima al diavolo per la candidatura di Michelle Obama.

(Ipotesi remota, da non scartare del tutto).

Altrettanto e forse maggiormente appetita da tv e carta stampata la discesa nell’agone di George Clooney.

L’unico che nei sondaggi più segreti è dato in grado di conquistare il voto delle donne bianche, in particolare quelle dai quarant’anni in su, settore deficitario per i dem.

Quanto alle possibili candidature più serie, non va dimenticato il nome del Senatore dell’Ohio Sherrod Brown, nel 2016, per un attimo, in corsa come Vice con Hillary e poi soppiantato da Tim Kaine.

C’è poi chi propone un vecchio arnese della politica, l’ex Vice di Obama Joe Biden.

In verità, una simile scelta ‘di bandiera’ equivarrebbe a dire all’elettorato “Sappiamo bene che perderemo”.

Pare voglia riprovarci il Senatore Bernie Sanders al quale, però, sta tagliando la strada la citata Warren che nuota nello stesso acquario radicale socialisteggiante.

Ci sarebbero i cosiddetti ‘candidati dinastici’, come Andrew Cuomo e Joe Kennedy.

La relativamente nuova Senatrice Kamala Harris.

Il Sindaco di New York Bill De Blasio, quel tale che ha cambiato cognome (si chiamava Warren Wilhelm jr) per raccattare i voti degli italoamericani numerosi nella Grande Mela.

Il rampante (anche se ha perso a novembre da Ted Cruz la corsa texana per il Senato) Beto O’Rourke.

Va qui ricordato che in una situazione per molti versi analoga (nomi di ogni genere senza che nessuno spicchi per carisma) con un repubblicano ritenuto quasi imbattibile a White House (George Herbert Bush), un semi sconosciuto ex Governatore di uno Stato del tutto periferico quale è l’Arkansas, sbucò fuori dal nulla per ottenere la nomination democratica e poi conquistare (aiutato dalle circostanze: un terzo candidato molto forte quale fu Ross Perot) lo scranno tanto ambito.

I giochi sono talmente all’inizio che qualcuno potrebbe a ragione anche sostenere che non si stia ancora giocando.

Il ritorno di Mitt Romney

Il ‘vecchio’ Mitt Romney è di nuovo sulla breccia.

Eletto lo scorso 6 novembre Senatore per lo Utah (da buon mormone…), completa un percorso politico (eccezionale, se non avesse perso nel 2012 da Barack Obama) che lo ha visto prima a capo del Comitato Organizzativo delle Olimpiadi Invernali di Salt Lake City e subito dopo Governatore del Massachusetts.

In tutti e due i ruoli, con davvero ottimi esiti.

Torna e critica aspramente Donald Trump.

Da repubblicano quale è.

A dimostrazione del fatto che i notabili GOP continuano a non apprezzare un Presidente contro la cui nomination si sono battuti e che considerano un alieno, da un punto di vista ideologicamente ortodosso parlando.

A Romney non vanno giù i continui cambiamenti nello staff della Casa Bianca (sostiene che di volta in volta le persone chiamate sono meno capaci) e non poche delle decisioni assunte dal tycoon in tema di politica estera.

Vedremo se e in quale modo una opposizione interna al Partito Repubblicano arrecherà danno al Presidente.

Se addirittura verrà cercata una alternativa in casa per contrastarlo già nella fase delle primarie.

In un non poi molto lontano passato, tra i Democratici, la riproposizione di Jimmy Carter fu contrastata fortemente da Ted Kennedy che ne contese la nomination (correva il 1980).

Carter prevalse sul terzo Kennedy per perdere poi dal GOP Ronald Reagan.

Elizabeth Warren tasta il terreno

Certo, Hillary Rodham Clinton.

Abbiamo tutti nella memoria il percorso politico della prima donna che sia arrivata davvero sulla soglia della Casa Bianca, che abbia avuto serissime (e, ahi lei, tradite) possibilità di vincere.

Ha l’ex First Lady aperto definitivamente una strada che poche altre Signore prima di lei – e comunque sempre in partiti ‘minori’, senza speranza – avevano tracciato.

E, d’altra parte, non sono forse gli Stati Uniti d’America il Paese che ha dato il diritto di voto molto tempo prima ai neri che alle donne?

Ciò detto, sottolineando il fatto che le possibili candidature alle nomination, di quadriennio in quadriennio, sono sempre più anticipate (parliamo oggi di una intenzione esplicitata il 31 dicembre 2018 nella prospettiva di un voto fissato al 3 novembre 2020!), una influente Signora va tastando il terreno in campo democratico.

(Naturale che siano gli ‘asinelli’ a muoversi quando il candidato ‘naturale’ a White House per gli ‘elefantini’ è Donald Trump).

La senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren ha testé dichiarato di avere costituito un ‘Comitato esplorativo’ che esamini e verifichi la situazione e le prospettive.

Autorevole e già da tempo considerata ‘animale politico’ di rilievo, Warren ha in precedenza ricoperto ruoli significativi, anche se non di primissimo piano, nella amministrazione Obama e si è dichiarata sostenitrice di Bernie Sanders nel corso della contesa interna al Partito Democratico nel 2016.

Ha, infine, appoggiato correttamente (ma non entusiasticamente) Hillary nella campagna perdente contro Trump.

Ora, è proprio tale sua collocazione nello schieramento dem a renderla un pretendente con non eccessive prospettive.

Nella sua area – quella radicale non poi tanto vasta – si muove ancora (parla di una seconda corsa) il predetto Sanders, con maggiori e consolidate chance.

Un ‘Comitato esplorativo’, peraltro, esplicita una volontà che deve essere confrontata con i fatti.

Vedremo, dunque.

Introduzione

I quarantacinque Presidenti

 

George Washington,

30 aprile 1789/3 marzo 1797

John Adams,

federalista, 4 marzo 1797/3 marzo 1801

Thomas Jefferson,

democratico-repubblicano, 4 marzo 1801/3 marzo 1809

James Madison,

democratico-repubblicano, 4 marzo 1809/3 marzo 1817

James Monroe,

democratico-repubblicano, 4 marzo 1817/3 marzo 1825

John Quincy Adams,

democratico-repubblicano, 4 marzo 1825/3 marzo 1829

Andrew Jackson,

democratico, 4 marzo 1829/3 marzo 1837

Martin Van Buren,

democratico, 4 marzo 1837/3 marzo 1841

William Harrison,

whig, 4 marzo 1841/4 aprile 1841

John Tyler,

whig, 6 aprile 1841/3 marzo 1845

James Polk,

democratico, 4 marzo 1845/3 marzo 1849

Zachary Taylor,

whig, 4 marzo 1849/9 luglio 1850

Millard Fillmore,

whig, 10 luglio 1850/3 marzo 1853

Franklin Pierce,

democratico, 4 marzo 1853/3 marzo 1857

James Buchanan,

democratico, 4 marzo 1857/3 marzo 1861

Abraham Lincoln,

repubblicano, 4 marzo 1861/15 aprile 1865

Andrew Johnson,

democratico, 15 aprile 1865/3 marzo 1869

Ulysses Grant,

repubblicano, 4 marzo 1869/3 marzo 1877

Rutherford Hayes,

repubblicano, 4 marzo 1877/3 marzo 1881

James Garfiel,

repubblicano, 4 marzo 1881/19 settembre 1881

Chester Arthur,

repubblicano, 20 settembre 1881/3 marzo 1885

Grover Cleveland,

democratico, 4 marzo 1885/3 marzo 1889

Benjamin Harrison,

repubblicano, 4 marzo 1889/3 marzo 1893

Grover Cleveland,

democratico, 4 marzo 1893/3 marzo 1897

William McKinley,

repubblicano, 4 marzo 1897/14 settembre 1901

Theodore Roosevelt,

repubblicano, 14 settembre 1901/3 marzo 1909

William Taft,

repubblicano, 4 marzo 1909/3 marzo 1913

Woodrow Wilson,

democratico, 4 marzo 1913/3 marzo 1921

Warren Harding,

repubblicano, 4 marzo 1921/2 agosto 1923

Calvin Coolidge,

repubblicano, 3 agosto 1923/3 marzo 1929

Herbert Hoover,

repubblicano, 4 marzo 1929/3 marzo 1933

Franklin Delano Roosevelt,

democratico, 4 marzo 1933/12 aprile 1945

Harry Truman,

democratico, 12 aprile 1945/20 gennaio 1953

Dwhigt Eisenhower,

repubblicano, 20 gennaio 1953/20 gennaio 1961

John Kennedy,

democratico, 20 gennaio 1961/22 novembre 1963

Lyndon Johnson,

democratico, 22 novembre 1963/20 gennaio 1969

Richard Nixon,

repubblicano, 20 gennaio 1969/9 agosto 1974

Gerald Ford,

repubblicano, 9 agosto 1974/20 gennaio 1977

Jimmy Carter,

democratico, 20 gennaio 1977/20 gennaio 1981

Ronald Reagan,

repubblicano, 20 gennaio 1981/20 gennaio 1989

George Herbert Bush,

repubblicano, 20 gennaio 1989/20 gennaio 1993

Bill Clinton,

democratico, 20 gennaio 1993/20 gennaio 2001

George Walker Bush,

repubblicano, 20 gennaio 2001/20 gennaio 2009

Barack Obama,

democratico, 20 gennaio 2009/20 gennaio 2017

Donald Trump,

repubblicano, 20 gennaio 2017/…

 

Nota Bene in merito

Precisato che il Padre della Patria e primo eletto George Washington non aveva appartenenza politica alcuna e che risulta essere l’unico Presidente scelto all’unanimità, senza voti contrari né astensioni, dal Collegio formato dai ‘Grandi Elettori’.

Precisato che – come vedremo più avanti – il Presidente americano non viene eletto dai cittadini ma dai ‘Grandi Elettori’ (si tratta di una elezione ‘di secondo grado’) che compongono il Collegio Elettorale, un organo costituzionale a ciò delegato.

Alcune, non poche e fondamentali, annotazioni:

1 L’Entrata in carica e il giuramento

Quanto all’entrata in carica – con l’eccezione della prima di Washington che ebbe luogo il 30 aprile 1789 e delle successioni da parte del Vice Presidente, mortis causa o a seguito di dimissioni – fino alle elezioni del 1932 comprese, era fissata al 4 di marzo dell’anno seguente quello elettorale (e il Presidente uscente decadeva il giorno prima, il 3, a mezzanotte).

Dalla tornata del 1936 è invece anticipata al mezzogiorno del 20 gennaio sempre dell’anno seguente quello elettorale.

Nella circostanza, il Presidente eletto giura (o, volendo, ma è accaduto con certezza una sola volta – Franklin Pierce, l’autore – dà la propria parola) sulla Bibbia nelle mani del Presidente della Corte Suprema e tiene il Discorso di Insediamento.

Altrimenti avviene, ovviamente, nei casi di successione mortis causa.

A tale ultimo riguardo, ricordiamo il giuramento, poi ripetuto perché considerato non valido, di Calvin Coolidge, di notte, nelle mani del padre, che era giudice, con la madre che reggeva un lume.

E ancora, quello di Lyndon Johnson in aereo mentre rientrava a Washington con la bara contenente il predecessore ucciso a Dallas.

E, infine, quello di Barack Obama del 20 gennaio 2009, che essendosi sbagliato nel pronunciarlo, dovette replicarlo a porte chiuse.

E’ buon uso che alle cerimonie di cui si parla participi il Presidente uscente, se del caso (non, ovviamente, a quelle per un secondo mandato del medesimo Capo dello Stato).

Nel tempo, ciò non è accaduto in quattro occasioni: John Adams non intervenne alla inaugurazione di Thomas Jefferson, John Quincy Adams a quella di Andrew Jackson, Andrew Johnson disertò quella di Ulysses Grant, Richard Nixon era assente, perché già partito da Washington, a quella di Gerald Ford.

2 Quanti sono stati i Presidenti

I Presidenti sono quarantacinque; le persone che hanno governato quarantaquattro.

Questo perché Grover Cleveland, eletto due volte non consecutivamente, è conteggiato sia come ventiduesimo che come ventiquattresimo Capo dello Stato USA.

3 Difficile per un repubblicano defenestrare un democratico

Davvero difficile per un repubblicano sconfiggere e defenestrare un Presidente democratico in carica che cerchi un secondo mandato o comunque, da Vice subentrato mortis causa, voglia ottenere una conferma.

Dal 1856 – anno della prima candidatura GOP alla Casa Bianca – sono riusciti nell’intento solo Benjamin Harrison nel 1888 (comunque battuto nella circostanza dal rivale Grover Cleveland quanto al voto popolare e defenestrato dal medesimo quattro anni dopo) e Ronald Reagan nel 1980.

Nelle altre occasioni i democratici Woodrow Wilson, Franklin Delano Roosevelt, Harry Truman, Lyndon Johnson, Bill Clinton e Barack Obama hanno respinto l’attacco.

4 Trenta i Presidenti che hanno cercato nel tempo un nuovo mandato

Barack Obama, nel 2012, era il trentesimo Presidente degli Stati Uniti d’America che si presentava all’elettorato per chiedere un nuovo mandato.

Nell’impresa, lo avevano preceduto, nell’ordine: George Washington (rieletto), John Adams (sconfitto), Thomas Jefferson (rieletto), James Madison (rieletto), James Monroe (rieletto), John Quincy Adams (sconfitto), Andrew Jackson (rieletto), Martin Van Buren (sconfitto), Abraham Lincoln (rieletto), Ulysses Grant (rieletto), Grover Cleveland (sconfitto nel 1884 e poi rieletto nel 1892, l’unico a riconquistare White House dopo averla persa e quindi quattro anni dopo), Benjamin Harrison (sconfitto), William McKinley (rieletto), Theodore Roosevelt (rieletto e primo Vice Presidente subentrato mortis causa che si presenta in proprio all’elettorato dopo avere concluso il mandato del predecessore), William Taft (sconfitto), Woodrow Wilson (rieletto), Calvin Coolidge (rieletto e che da secondo Vice subentrato mortis causa che si presenta percorre il medesimo iter di Theodore Roosevelt), Herbert Hoover (sconfitto), Franklin Delano Roosevelt (rieletto poi in tre occasioni), Harry Truman (rieletto e terzo Vice subentrato mortis causa che si propone in prima persona come Teddy Roosevelt e Calvin Coolidge), Dwhigt Eisenhower (rieletto), Lyndon Johnson (rieletto e quarto Vice subentrato mortis causa confermato personalmente), Richard Nixon (rieletto), Gerald Ford (sconfitto dopo essere subentrato a Nixon a seguito delle sue dimissioni), Jimmy Carter (sconfitto), Ronald Reagan (rieletto), George Herbert Bush (sconfitto), Bill Clinton (rieletto), George Walker Bush (rieletto).

Riepilogando, al 2018 – Donald Trump è troppo ‘fresco’ per rientrare nelle considerazioni statistiche se non parzialmente – compreso e pertanto considerando il quarantaquattresimo inquilino di White House, venti i confermati, nove gli sconfitti, uno rieletto con l’intervallo di un quadriennio.

Ove, peraltro, si guardi ai Presidenti eletti in prima persona, non includendo i Vice subentrati, Obama era in effetti il venticinquesimo a ricandidarsi.

Ebbene, nelle ventiquattro precedenti circostanze, il Presidente in carica ha vinto quindici volte, sedici ove si voglia tener conto (ma non appare corretto) dell’avventura predetta toccata a Cleveland.

5 I Presidenti deceduti in corso di mandato

I Presidenti morti nel corso del primo mandato sono: William Harrison, Zachary Taylor, James Garfield, Warren Harding, John Kennedy.

Abraham Lincoln all’inizio del secondo.

William McKinley nel corso del secondo.

Franklin Delano Roosevelt all’inizio del quarto.

Harrison, Taylor, Harding e F. D. Roosevelt per cause naturali.

Lincoln, Garfield, McKinley e Kennedy furono assassinati.

Da sottolineare il fatto che il Partito Whig ha visto morire entrambi i Presidenti che era riuscito a fare eleggere: William Harrison e Zachary Taylor, per la precisione.

6 Dimissioni

Il Presidente costretto alle dimissioni è stato Richard Nixon nell’agosto del 1974 a seguito del cosiddetto ‘Scandalo Watergate’.

7 Cinquantotto campagne elettorali per la Presidenza

Non trattiamo specificamente in questa sede le campagne elettorali ma va qui ricordato che dal 1788/89 i confronti per arrivare allo scranno presidenziale sono stati cinquantotto in totale e ribadito che i due partiti oggi ancora dominanti (Partito Democratico – detto anche dell’Asino o dell’Asinello – e Partito Repubblicano – denominato altresì dell’Elefante, dell’Elefantino, Gran Old Party da cui l’acronimo GOP) sono in competizione tra loro dalla tornata elettorale del 1856.

Se i mandati presidenziali sono stati finora cinquantasette (il cinquantottesimo è in corso), le legislature sono state centoquindici essendo quella che inizierà il 3 gennaio 2019 la centosedicesima.

Questo perché nel mentre il mandato presidenziale è quadriennale, le elezioni per la Camera dei Rappresentanti – che a tale fine fanno testo – hanno svolgimento ogni due anni, una volta in coincidenza con quelle per White House e un’altra appunto due anni dopo (si tratta delle Mid Term Elections, così denominate perché si tengono a metà del mandato presidenziale).

Visto che ci siamo, ricordiamo che a seguito di un Emendamento del 1913 i Senatori – il cui incarico è per sei anni – vengono eletti dal popolo (in precedenza, dai Parlamenti dei loro Stati) un terzo ogni biennio.

8 Numeri

Guardando ai numeri più significativi in proposito:

quella datata 2016 è stata la quarantatreesima occasione nella quale si è votato in un solo giorno – si cominciò nel 1848 – “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre” dell’anno bisestile (nel testo, ci soffermeremo su tale disposizione) mentre in precedenza si andava alle urne in un arco di tempo normalmente di poco più di un mese;

ancora, quello del 2016 è stato il quarantunesimo confronto diretto democratici/repubblicani dato che il primo è, come detto, del 1856;

dal 1828 al 1852, i democratici si confrontavano con altri partiti poi evaporati, non con i repubblicani nati nel 1854;

in totale (si torna agli scontri tra i due partiti), il GOP ha vinto ventiquattro volte e il Partito dell’Asino diciassette.

9 I partiti un tempo importanti

Parlando di partiti un tempo significativi, è necessario ricordare se non altro quelli che hanno portato, tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, almeno un loro esponente a risiedere nella dimora presidenziale: Partito Federalista, Partito Democratico-Repubblicano, Partito Whig.

10 I partiti d’un tempo comunque da ricordare

Per la necessaria completezza e per quanto nessuno dei movimenti politici che ora elenchiamo abbia mai vinto una competizione per la Casa Bianca occorre rammentare le presenze del Partito Antimassonico (il primo che usò, subito imitato, la Convention nel 1831 in vista delle elezioni dell’anno dopo), del Free Soil (per il quale, nel 1848, corse l’ex Presidente Van Buren), del Partito Populista (che, fra l’altro, nel 1896 affiancò al candidato dell’Asino Bryan un proprio esponente come possibile Vice), del Partito Socialista (nei primi decenni del Novecento significativamente in lizza), perfino del Partito Comunista (sostenuta da molti intellettuali, guidati da Edmund Wilson, la candidatura, in effetti senza seguito popolare, di William Zebulon Foster nel 1932), del Reform Party (nel 1996, sotto questa bandiera, partecipò alla contesa Ross Perot ottenendo risultati peggiori di quelli raggiunti nel 1992 da indipendente).

11 Indipendenti, Green Party, Libertarian Party

Ricordati ancora i non pochi indipendenti (come il Perot del 1992 appena citato) o quasi (nel senso che per l’occasione correvano per un partito creato e poi disciolto), quali Teddy Roosevelt (nel 1912, realizzò la migliore prestazione di sempre di un ‘terzo’), Robert La Follette nel 1924, J. Strom Thurmond nel 1948, Henry Wallace ancora nel 1948, George Wallace nel 1968 e John Anderson nel 1980, veniamo velocemente al Green Party e la Libertarian Party, oggi ben presenti e partecipi.  

I Verdi presentano da parecchio tempo loro candidati.

Da ricordare fra questi Jill Stein, in corsa onorevolmente nel 2012 e nel 2016, e soprattutto Ralph Nader.

Questi fu ‘accusato’ dai simpatizzanti di Al Gore, l’Asinello in lizza allora, di avergli impedito di vincere in Florida e per conseguenza di averlo fatto perdere (come si ricorderà, nel 2000, il voto della Florida fu determinante).

In effetti, se la maggior parte dei verdi locali nella circostanza, non essendo in gara Nader, avessero votato Gore George Walker Bush avrebbe perso quelle lottatissime elezioni.

E’ questo un ragionamento senza fondamento: dovrebbe infatti forse essere impedito a terzi o quarti di presentarsi per lasciare in corsa solo i democratici e i repubblicani?

Follia.

E’, peraltro, questa stessa l’accusa rivolta al Libertarian Party nella ultima tornata: se Gary Johnson (il suo esponente) non avesse collezionato un notevole numero di suffragi in Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, si sostiene, Hillary Clinton avrebbe trionfato.

12 Quanti i democratici?

Barack Obama è stato il quattordicesimo democratico eletto a partire dal 1828 ma il sedicesimo ad occupare lo scranno presidenziale visto che John Tyler e Andrew Johnson sono stati Presidenti in quanto Vice subentrati ma non hanno mai vinto una elezione;

13 Quanti i repubblicani?

Donald Trump è il diciassettesimo repubblicano vincente – a partire dal 1856 perché, ripetiamo, in precedenza il GOP non esisteva – ma il diciannovesimo inquilino della dimora presidenziale appartenente al Grand Old Party visto che Chester Arthur e Gerald Ford, subentrati in quanto Vice, non hanno mai vinto personalmente una elezione;

14 Anomalie: Andrew Johnson

Andrew Johnson – Vice di Lincoln nel secondo mandato e a lui subentrato a seguito dell’assassinio del Presidente – è un caso decisamente unico essendo un democratico Vice di un repubblicano: questo perché nel 1864, anno elettorale, la Guerra di Secessione era ancora in corso e il Partito Repubblicano presentò un ticket ‘particolare’ al fine di dimostrare che nel Paese non tutti i democratici (ribadiamo, Andrew Johnson era tale) si dichiaravano secessionisti;

15 Anomalie: Gerald Ford

Altro caso del tutto particolare quello riguardante Gerald Ford.

E’ l’unico Capo dello Stato USA che non sia stato eletto né come Presidente né come Vice visto che era prima subentrato a Spiro Agnew, Vice di Nixon costretto alle dimissioni, per poi succedere allo stesso Nixon.

16 Quanto tempo hanno ‘regnato’ i due partiti egemoni?

Considerando democratici (a fatica, se si tiene, come giusto, conto che il candidato Presidente – lo abbiamo or ora detto – era repubblicano) i quattro anni appunto amministrati dal citato Andrew Johnson, dal 1856, i repubblicani hanno governato finora (Trump parzialmente compreso) novanta anni e i democratici settantadue.

17 I Presidenti bocciati al primo tentativo e poi in sella

I presidenti eletti al secondo o al terzo tentativo sono parecchi.

Ecco, in ordine di tempo, i pretendenti alla Casa Bianca in grado di raggiungerla dopo una o più sconfitte:

John Adams, due volte battuto da Washington (1788/89 e 1792), vinse nel 1796;

Thomas Jefferson, sconfitto proprio da John Adams nel 1796, si affermò poi nel 1800;

Andrew Jackson, battuto tra mille polemiche da John Quincy Adams nel 1824 si prese la rivincita nel 1828;

William Harrison, che aveva perso nel 1836 da Van Buren, lo sconfisse nel 1840;

Grover Cleveland, Presidente eletto nel 1884, fu sconfitto nel 1888 da Benjamin Harrison ma tornò in carica a seguito delle elezioni del 1892;

Richard Nixon, battuto nel 1960 da Kennedy, si impose poi nel 1968.

18 I pluricandidati mai vincenti

D’altra parte, assai numerosi sono altresì i candidati più volte ripropostisi e mai in grado di vincere.

I maggiormente significativi sono:

George Clinton (due sconfitte: 1792 e 1808), peraltro arrivato comunque alla Vice Presidenza;

C.C. Pinckney (tre stop: 1800, 1804, 1808) al cui riguardo va precisato che nel citato anno 1800, federalista, aspirava teoricamente al ruolo di Vice, cosa che, non esistendo allora il ticket elettorale, non risultava ufficialmente;

Henry Clay (tre: 1824, 1832, 1844) con tre diverse formazioni politiche: dapprima,

1824, Democratico-Repubblicano, poi, 1832, Nazional-Repubblicano, infine, 1844,

Whig;

William Jennings Bryan (quattro: 1896, 1900 e 1908 nella ‘corsa’ finale e 1904 alla Convention democratica), a proposito del quale va anche segnalato che nel 1896 fu altresì ‘nominato’ dal Partito Populista, allora di una qualche importanza, e che pertanto nella circostanza corse con due differenti candidati alla Vice Presidenza, uno democratico e l’altro appunto populista;

Thomas Dewey (due: 1944 e 1948), l’ultimo candidato – non è più successo – di uno dei due partiti principali che, essendo Governatore in carica (del New York) aveva accanto un altro Governatore in sella, Earl Warren, della California;

Adlai Stevenson II (due: 1952 e 1956), nipote del Vice Presidente omonimo del secondo mandato di Grover Cleveland.

19 Il pluricandidato socialista

Un caso a parte è quello del socialista Eugene Debs che perse quattro elezioni: 1904, 1908, 1912 e 1920, ma si trattava di un candidato ‘di bandiera’, senza effettive possibilità di vittoria.

20 Il più giovane candidato

Il più giovane candidato alla Presidenza è stato nel 1896 il democratico William Jennings Bryan.

Aveva all’epoca solo trentasei anni.

21 Il più giovane in carica

Il più giovane Presidente in carica è stato il repubblicano Theodore Roosevelt.

Al momento del subentro, 14 settembre 1901, a William McKinley, assassinato, non aveva ancora compiuto quarantatre anni.

22 Il più giovane eletto

Il più giovane Presidente eletto è stato John Fitzgerald Kennedy.

Quarantatre anni e poco più di cinque mesi l’8 novembre 1960, giorno delle votazioni.

23 Il più anziano eletto, il più anziano in carica

Il più vecchio Presidente eletto è Donald Trump, settantenne al momento del voto.

Ronald Reagan è il più anziano Presidente rieletto.

Aveva settantatre anni nel 1984.

24 Primati quanto ai voti del ‘Grandi Elettori’

A parte il Padre della Patria George Washington, eletto dal Collegio Elettorale all’unanimità, il primato in merito ai ‘voti elettorali’ (non a quelli popolari) appartiene a James Monroe che nel 1820, avrebbe a sua volta conquistato tutti i ‘Grandi Elettori’ se, per evitare che qualcuno uguagliasse il primo Capo dello Stato, uno tra di loro non avesse votato John Quincy Adams.

L’esito della votazione fu dunque: James Monroe duecentotrentuno e John Quincy Adams uno.

In tempi a noi molto più vicini, un risultato davvero straordinario fu quello ottenuto da Ronald Reagan nel 1984.

In corsa per il secondo mandato, vinse in tutti gli Stati – non nel Distretto di Columbia – meno uno (il Minnesota e il contendente, Walter Mondale, era appunto del Minnesota) riportando cinquecentoventicinque voti dei ‘Grandi Elettori’ su cinquecentotrentotto.

25 Primati in termini di ‘voti popolari’

In termine di voti popolari (non va dimenticato che gli elettori sono ovviamente nel tempo aumentati di numero e quindi i primati sono necessariamente recenti), il record appartiene al Barack Obama del 2008.

Tra i repubblicani, colui che ha storicamente preso il maggior numero di suffragi da parte degli elettori comuni è Donald Trump.

Nell’ambito del suo partito, Trump è anche il candidato che ha conquistato il maggior numero di voti nel percorso pre Convention, tra Caucus e Primarie.

26 Percentuali di voto

Guardando alla partecipazione popolare al voto – percentualmente agli aventi diritto – i massimi sono stati toccati negli ultimi decenni dell’Ottocento.

Negli ultimi decenni, raramente – l’ultima volta nel 1968 – i votanti hanno superato il sessanta per cento dei maggiorenni.

27 Le elezioni più contrastate e discusse

Abbiamo trattato di larghe vittorie, ma, naturalmente, non sempre è andata così e vale a tale proposito la pena di dare una non superficiale occhiata almeno a quattro (cinque, se parliamo anche di quella del 2016) tornate particolarmente controverse:

  1. In uso il sistema elettorale precedente l’Emendamento del 1804 che lo istituì, non esisteva il ticket ragione per la quale chi riceveva il maggior numero di voti nel Collegio diventava Presidente mentre il secondo (poteva essere, e in effetti fu dopo le votazioni del 1796, di un altro e concorrente partito) assumeva la Vice Presidenza.

Thomas Jefferson e Aaron Burr, entrambi del Partito Democratico-Repubblicano, ottennero il medesimo numero di suffragi dai ‘Grandi Elettori’.

La decisione fu così demandata alla Camera che arrivò a deliberare in merito solo al trentaseiesimo ballottaggio.

(Va qui detto che Burr fu sconfitto per l’intervento di Alexander Hamilton che infine dirottò su Jefferson i voti determinanti.

Per conseguenza – non solo, ma insomma… – nel 1804, in un duello, il Vice Presidente in carica, tale era a quel momento Burr, uccise il rivale Hamilton).

  1. Quattro i contendenti e tutti del Partito Democratico-Repubblicano a quei tempi dominante ma vicino alla disgregazione proprio per i fatti che andiamo a narrare.

Prevale sia quanto a ‘Grandi Elettori’ che per il voto popolare il generale Andrew Jackson il quale, peraltro, non raggiunge la necessaria maggioranza assoluta nel Collegio restandone abbastanza lontano.

Secondo è il Segretario di Stato di James Monroe John Quincy Adams.

Terzo, il designato dal predetto Monroe William Crawford.

Quarto lo Speaker Henry Clay.

La nomina, nella situazione, è demandata alla Camera dei Rappresentanti che, per disposto legislativo, può scegliere fra i primi tre classificati.

Fuori gioco per motivi di salute Crawford, Clay, escluso in quanto quarto, promuove John Quincy Adams (in cambio, sarà il suo Ministro degli Esteri).

Tuoni e fulmini: Jackson protesta e con i suoi seguaci forma il primo nucleo di quello che sarà il Partito Democratico tuttora in auge.

Adams affronta un quadriennio terribile per l’ostilità contro di lui organizzata.

Quattro anni dopo (momento epocale – dal sottoscritto definito ‘La Seconda Rivoluzione Americana’ la prima essendo ovviamente quella per l’Indipendenza – nel quale avviene, esattamente il 4 marzo 1829, il trapasso tra la vecchia aristocrazia che aveva ideato e fatto nascere gli Stati Uniti e la borghesia emergente), Jackson defenestrerà J. Q. A..

  1. Per arrivare alla proclamazione di Rutherford Hayes, repubblicano, occorrerà il ‘Compromesso del 1877’.

Fatto è che i risultati elettorali relativi ai ‘Grandi Elettori’ della Florida, della South Carolina e della Louisiana erano contestati ed entrambi i partiti in lizza (per i democratici correva Samuel Tilden) li reclamavano.

All’Asinello bastava ottenere un solo suffragio al Collegio per prevalere.

Al GOP occorrevano tutti i delegati in ballo per vincere di un solo voto.

A febbraio del successivo 1877 (ricordiamo che allora si entrava in carica al 4 di marzo), una Commissione nominata dal Congresso e composta da otto repubblicani e sette democratici assegnò tutti i ‘Grandi Elettori’ dei quali si discuteva a Hayes che pertanto entrò alla Casa Bianca.

  1. Incredibilmente, a causare il pastrocchio fu ancora la Florida.

Il democratico Al Gore e il repubblicano George Walker Bush, per prevalere al Collegio Elettorale dopo le votazioni, necessitavano entrambi dei, per questo determinanti, ‘Grandi Elettori’ dello Stato con capitale Tallahassee che per una serie di indistricabili e avversi accadimenti non venivano ufficialmente assegnati.

Conteggi, riconteggi, ricorsi, fino al momento nel quale la Corte Suprema mise termine alle discussioni decidendo in favore di George Walker Bush.

Polemiche successive a non finire.

  1. L’elezione dello scorso anno si distingue almeno per due particolari.

E’ la seconda (dopo quella del 1844 che vide trionfare James Polk) nella quale si afferma un ‘maverick’ – ossia, un candidato del tutto inaspettato e improbabile che in cotal modo viene denominato dato che appunto ‘maverick’ era in altri tempi chiamato il vitello senza marchio e quindi senza padrone.

(E non si vede chi possa dimenticare come e in qual modo – tra sberleffi e lazzi, a dir poco – fu accolto l’annuncio della discesa in campo di Donald Trump e come sia stata derisa e osteggiata tutta la sua vittoriosa cavalcata).

Poi, è quella nella quale lo sconfitto nei decisivi termini dei voti dei ‘Grandi Elettori’ nel Collegio ha ottenuto il maggior margine sul vincitore guardando ai voti popolari: addirittura oltre duemilioni e ottocentomila suffragi in più.

Dello specifico, parliamo in altra parte del testo.

Rileviamo qui che alla fine a Trump sono bastate poche decine di migliaia di voti: quelli che gli hanno permesso di sconfiggere la rivale in Wisconsin, Michigan e Pennsylvania.

Si parla di un totale di meno di settantamila suffragi che se fossero mancati avrebbero indirizzato ben altrimenti l’esito.

28 Il voto ai neri e quello alle donne

Il voto ai neri – da un certo punto di vista, incredibilmente – a seguito della Guerra di Secessione, fu concesso molto prima di quello alle donne.

Il XV Emendamento che vieta ogni discriminazione determinata dalla razza, dal colore o dal precedente stato di schiavitù è datato 1870.

Il XIX, che apre al sesso debole è del 1920.

29 I Presidenti che non avevano mai avuto prima incarichi elettivi

Donald Trump è il quarto Presidente degli Stati Uniti ad essere arrivato alla Presidenza senza avere mai ricoperto in precedenza incarichi elettivi.

Prima di lui, Zachary Taylor, Ulysses Grant e Dwight Eisenhower, tre generali.

Gli altri due militari eletti, Andrew Jackson e William Harrison, erano comunque ex Senatori.

30 La Presidenza più breve e quella più lunga

Guardando alla durata, la Presidenza più breve è quella dell’appena citato William Harrison, in carica dal 4 marzo al 4 aprile 1841.

Quella più lunga (primato imbattibile, visto l’Emendamento del 1951 che limita a due le elezioni possibili per candidato), quella di Franklin Delano Roosevelt: dal 4 marzo 1933 al 12 aprile 1945.

31 Le dinastie

Non pochi i candidati allo scranno presidenziale appartenenti alla stessa famiglia.

In ordine di apparizione:

John Adams e John Quincy Adams, padre e figlio entrambi eletti (1796 e 1824, le due date) ed entrambi in carica un solo mandato;

William Harrison e Benjamin Harrison (1840 e 1888, le due elezioni), nonno e nipote;

William Taft e Robert Taft, padre e figlio: il primo Presidente dopo le elezioni del 1908, il secondo respinto nelle Primarie GOP tre volte nel 1940, nel 1948 e 1952;

George Herbert Bush, George Walker Bush, Jeb Bush, padre e figli, i primi due eletti (Herbert nel 1988 e dopo un quadriennio defenestrato; Walker per due mandati, 2000 e 2004), il terzo sconfitto nelle Primarie GOP del 2016.

I due Roosevelt erano parenti ma alla lontana.

Il caso di Bill Clinton e Hillary Rodham Clinton è differente, trattandosi di una coppia di coniugi.

32 Hillary Rodham Clinton, la prima donna ‘nominata’ da un partito maggiore

Come tutti sanno, Hillary Rodham Clinton è la prima donna che abbia conquistato la Nomination in uno dei due partiti maggiori.

Non la prima donna in assoluto a correre per White House: il primato in questo campo spetta a Victoria Woodhull, addirittura nel 1872, molto prima che le signore avessero negli USA diritto di voto.

33 Perdere nello Stato di residenza

Una annotazione finale, una particolarità: Donald Trump è il quarto Presidente USA ad essere eletto senza vincere nel suo Stato di residenza (non di nascita).

Nell’ordine, lo hanno preceduto, James Polk, 1844, sconfitto in Tennessee, Woodrow Wilson, nel 1916, battuto nel New Jersey, Richard Nixon, perdente nel 1968 nel New York.