Il voto per Stati (in caso di parità ma non solo)

Allora, il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre (in questo 2016, il giorno 8) non viene eletto il presidente degli Stati Uniti d’America.

Quel giorno, vengono votati Stato per Stato i cinquecentotrentotto componenti del ‘Collegio Elettorale’, l’organo costituzionale preposto alla elezione dell’inquilino di White House, elezione fissata al primo lunedì dopo il secondo mercoledì del successivo dicembre.

Nell’ipotesi – decisamente improbabile ma non impossibile – che i due massimi contendenti (il repubblicano e il democratico, ai nostri tempi) finiscano alla pari con duecentosessantanove delegati nazionali a testa, secondo quanto disposto dalla Carta, la scelta del presidente spetta alla camera dei rappresentanti.

(Così, peraltro, anche nel caso in cui, essendo più di due i candidati che abbiano conquistato i grandi elettori, nessuno abbia raggiunto la maggioranza assoluta nel predetto Collegio Elettorale).

La decisiva votazione deve avere luogo “immediatamente” (come vuole la norma costituzionale) dopo la, in quel caso vana, determinazione del Collegio.

Questo significa – dobbiamo arguire ma è controverso – che i rappresentanti chiamati a votare sono quelli della vecchia legislatura visto che i neo eletti (la camera si rinnova totalmente anch’essa il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre) entrano in carica solo il 3 gennaio dell’anno successivo.

La Carta esplicita che in questo frangente alla votazione, perché sia valida, devono partecipare almeno le rappresentanze di due terzi degli Stati e che la maggioranza degli stessi Stati (tutti, non solo dei presenti e votanti) sarà necessaria per la nomina.

Di particolare interesse poi il fatto che in questi momenti il voto dovrà essere dato per Stati e che la rappresentanza di ciascuno Stato disporrà di un voto.

Ecco, quindi, che in questa estrema ipotesi, diverrà presidente il candidato il cui partito avrà conquistato il maggior numero di rappresentanti non in senso assoluto ma nel maggior numero di Stati.

Per chiarire: la California ha diritto oggi a cinquantatre rappresentanti.

Ipotizziamo che in maggioranza questi siano democratici.

Quel popolosissimo Stato si schiererà quindi per il candidato dell’asinello al quale darà un (uno!) voto.

Di contro, l’Alaska ha diritto alla camera ad un unico rappresentante.

Se si tratta di un repubblicano il suo voto pareggia quello dei cinquantatre californiani.

Un’altra, in qualche modo estrema, conseguenza del federalismo per il quale gli Stati hanno pari dignità a prescindere dal numero degli abitanti.

N.B.

Nella lunga storia USA, la camera è intervenuta due volte nella scelta del capo dello Stato.

La prima, nell’anno 1800 allorquando Thomas Jefferson e Aaron Burr conquistarono il medesimo numero di delegati.

La seconda nel 1824 quando Andrew Jackson pur ottenendo più voti popolari e grandi elettori non raggiunse il quorum di questi ultimi.

Nel 1800, Jefferson prevalse al trentaseiesimo ballottaggio.

Nel 1824, a Jackson fu preferito il secondo classificato John Quincy Adams.