‘Presidente di minoranza’? Normale o quasi

Il sistema elettorale USA – lo sapete – prevedendo l’ipotesi (più volte concretizzatasi) di un Presidente eletto pur in costanza di una sconfitta quanto al voto popolare nazionale (perché sostenuto da un numero maggiore di Grandi Elettori), considera ‘normale’ un Capo dello Stato ‘di minoranza’, cioè appunto votato da una quantità minore rispetto al contendente di persone.

Ora, non è soltanto nei casi accennati che un inquilino di White House è ‘di minoranza’.

Lo è (lo è stato) anche allorquando essendo più di due i candidati ‘seri’, i voti degli elettori si dividono e sommando quelli degli sconfitti si arriva ad avere una cifra superiore a quella raggiunta dall’eletto.

Molti i casi, alcuni eclatanti e altri di particolare significato storico.

Il primo di grande impatto riguarda le votazioni del 1824.

Alla fine – dalla Camera ed è l’unica volta nella storia – viene eletto John Quincy Adams che aveva raccolto non solo meno suffragi ma anche un numero inferiore di Grandi Elettori rispetto a Andrew Jackson (il quale, ovviamente, essendo quattro i pretendenti, non era arrivato alla maggioranza assoluta dei predetti).

Nel 1844, di pochissimo, è ‘di minoranza’ anche James Polk.

Poi, una sequenza o quasi di consimili Presidenti (con ‘minoranze’ variabili): Zachary Taylor, James Buchanan e, importantissimo per le conseguenze, l’Abraham Lincoln del 1860.

Si arriva al 1876 quindi, al prevalere attraverso il ‘Compromesso del 1877’, del meno votato Rutherford Hayes nei riguardi di Samuel Tilden.

Benjamin Hartison nel 1888 e il ‘risorto’ Grover Cleveland nel 1892 seguono nel particolare elenco.

È il Woodrow Wilson del 1912 il secondo (ricordate Lincoln 1860?) caso davvero storico.

Come il primo Presidente repubblicano aveva nella circostanza approfittato della divisione del campo avverso così il democratico approfitta della drammatica frattura tra i GOP per prevalere.

Occorre arrivare da qui al 1948 di Harry Truman per avere un nuovo scranno ‘di minoranza’ a Washington.

È il Richard Nixon del 1968 il successivo ‘minore’ come sarà il Bill Clinton del 1992 per via del ‘terzo’ Ross Perot.

Restano a chiudere i due successi repubblicani (2000, George Walker Bush e 2016 Donald Trump) a confermare quella particolare situazione che dice che, in un confronto senza terzi incomodi, è il repubblicano a prevalere prendendo meno voti popolari ma catturando un numero maggiore di Grandi Elettori.