Riepilogo quanto alla elezione del Presidente

L’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America – non lo si ripeterà mai abbastanza – non è ‘diretta’.

Non è cioè conseguente al voto popolare – al quale i Padri Fondatori della Nazione ‘democratica’ per definizione credevano davvero relativamente – se non attraverso la mediazione di opportunamente determinati Delegati Nazionali che vengono chiamati Grandi Elettori.

Si tratta, pertanto, di una elezione appunto ‘mediata’, ‘di secondo grado’.

La nomina degli appena citati Signori, dalle votazioni del 1848, ha luogo ‘il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno corrispondente al bisestile’ (giorno nel quale, scorrettamente ma usualmente, si dice venga eletto il Capo dello Stato).

In seguito, ‘il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre successivo’, i medesimi Grandi Elettori, formalmente riuniti (in verità, per Delegazione, Stato per Stato, nella capitale dello stesso) nel Collegio che li racchiude, provvedono effettivamente alla nomina salvo il caso che nessuno tra i candidati abbia raggiunto nel consesso la maggioranza assoluta.

Passa, nella espressa ipotesi estrema (si è verificata solo nel 1824), la competenza alla Camera dei Rappresentanti che, dal successivo gennaio, provvederà alla bisogna con uno o più ballottaggi nei quali il voto degli Stati (il Distretto di Columbia non è ammesso) è per Delegazione e vale uno a prescindere dal numero degli abitanti e quindi del voto popolare locale.

Risulta eletto il candidato che ottenga il consenso della maggioranza assoluta degli Stati votanti.

Per la necessaria completezza dell’informazione, anche il candidato Vice Presidente può non arrivare (è accaduto nel 1836) alla – più volte necessariamente citata – maggioranza assoluta dei Delegati Nazionali predetti.

Nell’ipotesi, alla nomina, dal successivo gennaio, provvede il Senato e nella circostanza il voto dei suoi membri è individuale.

I ballottaggi per i quali si è detto vadano conclusi “entro (o dal) successivo gennaio”, ovviamente, devono determinare gli eletti in anticipo rispetto  al 20 dello stesso mese perché appunto a quella data, a mezzogiorno, è fissato l’Insediamento del nuovo, o confermato Presidente.

Fino al 1933 compreso, l’or ora citata incombenza era tenuta il 4 di marzo.

Comunque sia, la definizione della nomina è conseguenza di una deliberazione del Congresso a tal fine convocato,

 

Oggi – a seguito dell’entrata nell’Unione nel 1959 di Alaska ed Hawaii nonché della approvazione dell’Emendamento del 1961 che ha concesso anche al Distretto di Columbia di poter votare per  suoi Delegati al Collegio – i Grandi Elettori sono cinquecentotrentotto.

Pari alla somma di tutte le cinquanta Delegazioni Congressuali (Senatori – al momento cento, essendo due per Stato e cinquanta gli Stati – e Rappresentanti – quattrocentotrentacinque per Legge – con l’aggiunta degli appena ricordati Delegati del Distretto: tre).

Per conseguenza, la maggioranza assoluta è pari a duecentosettanta.

 

Quarantotto dei cinquanta Stati USA piu il Distretto di Columbia nominano i Grandi Elettori di spettanza (pari alla propria Delegazione Congressuale: ancora, ma localmente, Senatori più Rappresentanti) con il ‘Winner takes all method’.

Il candidato cioè che prevale nel singolo Stato in termini di voti popolari (fosse anche di uno soltanto) li aggiunge tutti al proprio carniere.

Il Maine (dal 1972) e il Nebraska (dal 1996), essendo la Legge che regola tale adempimento di competenza statale, hanno adottato un differente e articolato metodo dividendo il loro territorio in circoscrizioni, contando peraltro anche il risultato complessivo.

Per inciso ma fondamentalmente, i Grandi Elettori di spettanza dei singoli Stati sono determinati proporzionalmente al numero degli abitanti quali risultano nel dati raccolti con il decennale (il primo si svolse nel 1790 e il prossimo si avrà nel 2020 essendo sempre in programma negli anni con finale zero) Censimento.

Più numerosi gli abitanti, maggiore o minore proporzionalmente la consistenza dei Rappresentanti.

Per conseguenza, delle citate Delegazioni Nazionali.

Per ulteriore conseguenza, del numero dei Grandi Elettori.

 

Alla scelta del ‘Winner takes all method’ (‘assoluto’ in quanto applicabile anche se il più votato non dovesse raggiungere il cinquanta per cento dei voti popolari espressi, mentre il ‘Winner takes all method’ ‘relativo’, usato in altri ambiti, prevede che l’attribuzione totale avvenga solo quando il vincente superi il citato limite del cinquanta per cento) gli Stati sono arrivati per gradi.

Nelle prime votazioni, difatti, differenti erano i metodi adottati.

Soprattutto, in molte realtà – ad ulteriore prova del fatto che i Padri Fondatori ritenevano che il popolo degli elettori dovesse essere ‘sorvegliato’ – provvedevano alla nomina dei Grandi Elettori i Legislativi locali.

(E d’altra parte non erano in questo modo scelti anche i Senatori fino alla riforma costituzionale in merito del 1913?)

Non possono essere compresi nelle liste degli eligendi Grandi Elettori, che in ogni Stato i partiti presentano, i Congressisti, nazionali o statali che siano, né personalità che, al momento (non in precedenza), ricoprano (o abbiano ricoperto) incarichi pubblici.

 

Sono gli Stati Uniti – incredibilmente non lo si vuole ricordare (si ignora?) – uno Stato federale nel quale (la ragione che ha portato ad attribuire a ciascuno dei componenti due Senatori a prescindere dal numero degli abitanti che invece importa nella dazione dei Rappresentanti) tutti hanno pari dignità.

È per questo che il voto popolare vale solo nella circoscrizione che per i Grandi Elettori coincide con lo Stato (si definisce ‘at large’).

È per questo che non conta (tanto che in cinque circostanze il perdente in suffragi popolari a livello nazionale ha invece vinto) l’elettorato nel Paese intero ma localmente.

Ogniqualvolta – a parte il 1824 con precedenti movimenti politici in scena, è sempre stato il Partito Democratico a prevalere quanto al popolo e a iperdere nel Collegio – accada (nel 2000 e, sanguinosamente, nel 2016), si parla di possibili modifiche del sistema.

(Il riferimento, come visto trattando in precedenza del Maine e del Nebraska, non è al metodo di elezione locale dei Grandi Elettori ma a fare in modo che il candidato più suffragato nel Paese prevalga).

Ora, perché entri comunque in vigore, qualsiasi sia il contenuto, un Emendamento costituzionale (e, ovviamente, necessiterebbe se si volesse intervenire) deve essere approvato a maggioranza qualificata dei due terzi dei presenti dalle Camere e successivamente ratificato dai tre quarti (trentotto!) degli Stati.

(Esiste una differente e mai applicata procedura che prevede l’iniziativa di una parte degli Stati e poi votazioni e ratifica).

Sul tema, semplicemente impossibile questo avvenga.

Perché mai, difatti, un gran numero di Stati ‘minori’ che nella procedura attuale hanno notevole voce dovrebbero rinunciare ad averla?

Devono ‘abdicare’ sostanzialmente consegnando la competenza a California, Texas e New York – i tre più popolosi – e magari alla Florida (il quarto)?

E si tenga inoltre conto dell’ulteriore fatto che i predetti ‘minori’ (quanto alla consistenza della Delegazione dei Grandi Elettori, ripetiamo) sono praticamente tutti repubblicani.

 

Come noto, guardando all’esito delle votazioni relativamente recenti (la ‘colorazione degli Stati non è poi molto datata), i componenti l’Unione che si esprimono frequentemente per i repubblicani sono definiti ‘Red States’, mentre quelli che votano altrettanto di frequente democratico ‘Blue States’.

Quelli non attribuibili perché disposti a cambiare voto secondo occasioni e candidati si chiamano ‘Swing States’ (i cittadini con le stesse caratteristiche ‘Swing Voters’).

La carta geografica USA al termine delle votazioni di novembre si colora pertanto, secondo attribuzione, di rosso, blu o viola (quest’ultimo essendo il tono destinato mano mano a sparire salvo che uno Stato non venga considerato al momento ‘to close to call’).

 

È davvero interessante seguire l’andamento della Storia USA attraverso questo particolare microscopio.

Quando, in quali circostanze, perché gli Stati hanno avuto, aumentato o perso importanza politica?

Lo si vede proprio trattando e approfondendo il tema Grandi Elettori.

 

Alcuni dati di fatto.

A parte George Washington eletto due volte (1788/89 e 1792) all’unanimità e quindi da tutti i Grandi Elettori dell’epoca, solo il James Monroe del 1820 ha ‘rischiato’ un altrettale esito (però, in sede di Collegio, uno degli aventi diritto al voto glielo negò).

In anni a noi più prossimi, due repubblicani hanno vinto ‘a valanga’ in tutti gli Stati meno uno (e tranne il Distretto di Columbia).

Richard Nixon nel 1972 (perse il Massachusetts) e Ronald Reagan (non vinse nel Minnesota).

Dopo di che – la situazione è ‘cristallizzata’ – nelle ultime cinque elezioni (dal 2000 al 2016), trentotto Stati su cinquanta più uno (il benedetto Distretto) quanto ai Delegati Nazionali hanno votato sempre allo stesso modo: ‘rosso’ o ‘blu’ che fosse.

Guardando poi ai record in materia – a parte ancora il Distretto che si esprime dal 1964 (la sua prima partecipazione) per i democratici – il Minnesota è per il partito dell’Asino (simbolo degli stessi dem dai tempi di Andrew Jackson) da undici tornate mentre ben nove altri membri dell’Unione votano per l’Elefante (simbolo repubblicano dal declino dell’Ottocento) addirittura da quattordici Presidenziali.

Sono Alaska, Idaho, North Carolina, North Dakota, Oklahoma, South Carolina, South Dakota, Utah e Wyoming.