Un anno di Trump

Un anno (e un giorno).

Il 16 giugno 2015 resterà – comunque vada a finire l’avventura – una data da ricordare per gli Stati Uniti d’America.

Quel giorno, infatti, il tycoon nuovaiorchese Donald Trump, in un albergo, annunciò la propria candidatura nel partito repubblicano per cercare di ottenerne la nomination e correre dipoi per White House.

E’ storia oramai nota che tutti i commentatori e i politologi, a quel momento, non presero sul serio – molti si scompisciarono dalle risa (uno dei più noti arrivò ad affermare che se The Donald fosse riuscito a prevalere per la nomination si sarebbe mangiato i fogli di giornale sui quali erano stampati i suoi articoli, cosa che dovette poi fare) – la sua candidatura sostenendo che non avrebbe avuto nessun successo e che assai presto avrebbe dovuto ritirarsi.

Sappiamo come è andata a finire.

Sappiamo in qual modo sia riuscito a prevalere alla durissima selezione interna affrontando ed eliminando sedici rivali, molti dei quali di ottima stirpe politica o di buona levatura.

Sappiamo della sua battaglia, vittoriosa, contro l’intero establishment del partito, apparato che lo ha visto dall’inizio come un corpo estraneo, un maverick, torello senza marchio e ingovernabile.

Sappiamo della sua efficacia televisiva, del resto già in precedenza nota.

Sappiamo della sua capacità di cavalcare ogni opportunità spesso scovando temi che gli altri non vedono o che considerano impraticabili.

Sappiamo della sua spregiudicatezza, delle sue sparate che in predetti commentatori e politologi non possono soffrire e che hanno convogliato alle urne, tra caucus e primarie, quasi tredici milioni e cinquecentomila elettori, record assoluto (e di gran lunga) per un candidato GOP.

Sappiamo che oggi i sondaggi lo danno per strabattuto nella general election novembrina ma ricordiamo casi nei quali le rilevazioni delle intenzioni di voto riguardo a candidati repubblicani poi vincenti erano addirittura peggiori, Ronald Reagan compreso.

Sappiamo, tornando all’inizio, alle prime righe, che qualsiasi sia l’esito della cavalcata intrapresa dodici mesi orsono, la sua campagna resterà tra le cose memorabili in tema di storia delle presidenziali USA e non solo.