Il peso della Presidenza

Come ricorda Arthur Schlesinger jr nel suo ‘I mille giorni di John Kennedy alla Casa Bianca’, contrariamente a molti del suoi predecessori, il Presidente della Nuova Frontiera sapeva bene quali fardelli gli sarebbero toccati esercitando il potere, li aveva coscientemente voluti e non se ne lamentava.
Differiva in questo da George Washington che nel ruolo di sentiva “un colpevole portato al luogo dell’esecuzione” e che in effetti era stato quasi obbligato ad accettare l’incarico.
Da Thomas Jefferson che aveva definito la peraltro agognata Presidenza “uno splendido tormento”.
Da James Buchanan che aveva parlato di “una corona di spine”.
Da Harry Truman che aveva parlato di White House come della “più bella prigione del Paese”.
Riteneva Kennedy che l’esercizio della funzione fosse eccitante.
Di essere colà nella condizione di decidere.
Occuperà anni dopo lo stesso scranno Gerald Ford che, forse per non avere mai davvero ambito al massimo incarico (al quale era arrivato per vie del tutto particolari salendo la scala del potere a seguito delle altrui dimissioni), darà voce alla propria insoddisfazione affermando che “l’unica cosa che può decidere da solo di fare il Presidente è quando andare al gabinetto!”