Agli albori di Democratici e Repubblicani

Due persone, due personalità diversissime.

Origini e percorsi assolutamente opposti.

 

Aristocratico per nascita (in Massachusetts), nel senso americano del termine, il primo.

Destinato naturalmente alla guida della Nazione e in tale prospettiva educato.

(Non era forse il genitore uno dei Padri della Patria nonché il secondo Capo di Stato dell’Unione?)

Necessariamente quindi laureato ad Harvard, docente universitario, diplomatico di vero successo a livello internazionale, politico di altissimo profilo, Segretario di Stato e in tale ambito autore della cosiddetta ‘Dottrina Monroe’, infine Presidente come suo padre.

John Quincy Adams, questi.

 

Umili le origini (nato in un’area geografica tra North e South Carolina) e travagliato il percorso formativo (ovviamente al confronto decisamente più debole tanto che l’aristocratico arriverà a sostenere un suo celato analfabetismo!) del futuro e in tale veste capacissimo soldato e Generale le cui celebrate vittorie sul campo contro gli inglesi e sui pellerossa furono alla base della decisione di entrare, per quella certamente opposta ma praticabile porta, in politica.

Andrew Jackson, questi.

 

1924, le elezioni presidenziali sono in programma dal 26 ottobre al 2 dicembre.

Duecentosessantuno i Grandi Elettori e per conseguenza centotrentuno la maggioranza assoluta da raggiungere o superare.

Quattro i candidati alla successione di James Monroe che, seguendo la prassi inaugurata da George Washington, ha autonomamente determinato di lasciare l’Executive Mansion il 4 marzo del prossimo 1825.

Tutti appartenenti al dominante (il Federalista, lungamente avverso, è inesorabilmente avviato alla dissoluzione) Partito Democratico Repubblicano voluto in primis da Thomas Jefferson.

Sono

il Segretario di Stato in carica John Quincy Adams,

il Segretario al Tesoro William Crawford,

lo Speaker della Camera dei Rappresentanti Henry Clay,

il Generale Andrew Jackson.

Un vero ‘Parterre de Rois’.

 

Per la prima ed unica volta (per quanto i Whig nel 1836  abbiano dipoi vagheggiato di arrivare allo stesso esito), nessuno dei pretendenti allo scranno ottiene sufficiente consenso e il Collegio dei Grandi Elettori così formato non può determinare l’elezione.

Risultato:

Jackson, primo per voti popolari (oltre il quarantuno per cento) e per Delegati (novantanove),

Adams, secondo (trenta e nove per cento e ottantaquattro Delegati),

Crawford, terzo (undici e due per cento e quarantuno Delegati),

Clay, quarto (tredici per cento e trentasette Delegati).

 

La situazione è prevista è regolata dal XII Emendamento alla Carta Costituzionale.

La competenza quanto alla nomina del Presidente in questo caso passa dal Collegio dei Grandi Elettori alla Camera dei Rappresentanti.

(Nell’ipotesi in cui a non raggiungere la maggioranza assoluta è il candidato alla Vice Presidenza – accadrà nel 1836 – la scelta spetta invece al Senato).

La quale Camera deve votare per Delegazione valendo uno sia il deliberato, per dire, del più popoloso tra gli Stati che quello del più disabitato.

E deve scegliere tra i primi tre in graduatoria.

 

Escluso quindi dal certame Henry Clay, Andrew Jackson ritiene di essere necessariamente e comunque il designato.

Le cose però non vanno affatto così.

Il 9 febbraio del 1825 (si entrava in carica il 4 marzo dell’anno successivo a quello elettorale) il consesso camerale elegge al primo ballottaggio John Quincy Adams.

Tredici Stati lo votano, contro i sette per Jackson e i quattro per Crawford.

Decisivo assolutamente nella temperie lo Speaker Clay che non sopporta il Generale e che manovra per arrivare in porto secondo le proprie preferenze.

Sarà poi lo stesso Clay Segretario di Stato al fianco di J. Q. Adams la qual cosa darà luogo a dissensi e ad accuse varie, in primo luogo da parte dello scioccato Generale convinto di essere stato defraudato.

(Fra l’altro, va ricordato, ai tempi, l’incarico agli Esteri preludeva quasi necessariamente ad una successione presidenziale).

 

È a seguito di tali evenienze, nel bailamme, che il movimento Democratico Repubblicano perde rapidissimamente aderenza.

Nasce ad opera di molti delusi sostenitori dello stesso Jackson il Partito Democratico ancora e del tutto felicemente in essere.

Sarà proprio il Generale a prendersi nella tornata elettorale del 1828 una clamorosa rivincita.

Straordinariamente importante la vittoria in esame perché consente ad una nascente e non ancora convenientemente articolata borghesia di prendere le redini del Governo.

È John Quincy Adams infatti l’ultimo fra gli ‘aristocratici’ a detenere, sia pure tra grandi difficoltà negli anni a White House, le leve del comando.

 

Primo fra gli ex Presidenti a muoversi in tale direzione (lo imiterà per un solo momento venendo subito a morte Andrew Johnson), J. Q. Adams non lascia affatto la politica attiva e siede da eletto alla Camera dei Rappresentanti dal 1831 alla dipartita (1848).

Importante oltre modo l’azione portata nobilmente avanti a favore dell’abolizione dello schiavismo.

Entrato tra i Whig nel 1834 ne influenzò la linea politica specie a questo proposito.

Ancora nel 1839 intervenne davanti alla Corte Suprema sul ‘Caso Amistad’.

Assolutamente certa l’incidenza del suo pensiero e dell’opera svolta sul Partito Repubblicano che sei anni dopo, nel 1854, nascerà e nel 1860, con Abraham Lincoln, conquisterà la Casa Bianca.

 

Da dove parte il confronto ancora oggi in atto tra Democratici e Repubblicani.

Ecco.