Alaska

1867.

Lo zar Alessandro II è a corto di quattrini.

La sua Russia ha un possedimento del quale non sa sostanzialmente cosa fare.

Si colloca nel continente americano.

È l’Alaska.

Alessandro ha appoggiato diplomaticamente il Nord nella da poco conclusa Guerra di Secessione e può contare sulla, diciamo così, comprensione e benevolenza dei riunificati Stati Uniti.

Sa che l’acquisto della terra degli orsi (cos’altro poteva essere considerata allora la penisola alaskana?) interessa in specie al Segretario di Stato USA William Henry Seward.

Questi, era nell’intenzione – per quanto non fosse ciò esplicitato – supportato dalla necessità di dare seguito e compimento alla Dottrina Monroe (semplificando brutalmente come si usa l’idea e l’ideale di John Quincy Adams, vero artefice della Dottrina esposta dal Presidente James Monroe che serviva quale Ministro degli Esteri, “l’America agli americani”).

Concomitanti gli interessi, a fine marzo del citato 1867, Seward e il delegato dello zar barone Eduard de Stoeckl firmarono l’accordo che traferiva la proprietà dell’Alaska agli Stati Uniti.

Compenso pattuito di sette milioni e duecentomila dollari.

Il relativo Trattato fu ratificato dal Senato americano molto rapidamente anche se il pattuito venne invece corrisposto più tardi per l’opposizione della Camera dei Rappresentanti, infine superata.

Per una cifra che oggi, rivalutata, è inferiore a quella pagata dalla Juventus per acquistare Cristiano Ronaldo, Seward – contestato e preso in giro ai tempi da quanti non comprendevano perché desiderasse avere “quel deserto di ghiaccio” – aveva aumentato enormemente la superficie dell’Unione e, si scoprirà, messo a disposizione oro vero (la ‘corsa’ partirà una trentina d’anni dopo) e una sterminata quantità di petrolio: l’oro nero!!!