Contro Trump, meglio non usare la questione razziale

Nuove e vecchie (addirittura, si tirano fuori le antipatie razziali di John Wayne!) storie.

Certo, Donald Trump non è da questo punto di vista – e da altri – un fiorellino.

Certo, sa sfruttare i contrasti etnici mai del tutto cancellati e quelli nuovi derivanti dall’arrivo e dall’affermarsi, quanto meno dal punto di vista numerico, degli ispanici, da molti wasp vissuti come corpi estranei all’America che fu e vorrebbero continuasse ad essere.

Certo, in molte occasioni, in precedenza, prima che si buttasse nell’agone politico, ha dimostrato che i non bianchi – diciamo così – a dir poco non gli vanno a genio.

Certo, si sono dati casi – per ora, non molti – di suoi seguaci pronti a menare le mani o peggio.

Ma, proprio per questo, a mio modo di vedere, attaccarlo sul piano delle convinzioni in campo razziale sarebbe, è, controproducente.

Direi di più: pericoloso.

Non che si debba far finta di niente, no.

Occorre, occorrerà un savoir faire e una finezza politica dei quali, al momento, nel campo a Trump avverso dei democratici non si nota la presenza.

A chi gioverebbe il muro contro muro?

Chi si avvantaggerebbe se Hillary Clinton, come va già facendo, suscitasse una contrapposizione specifica e accentuata su questo tema?

Donald Trump può già contare non tanto sugli elettori repubblicani – parecchi dei quali, come i loro vecchi leader, dai Bush a McCain a Romney, non lo sopportano – quanto sui milioni di antisistema, su un numero grande e in aumento di persone scontente dell’andamento dell’economia, dell’incapacità dei politici di professione, delle difficoltà di ordine sociale, sugli indipendenti ‘incazzati’…

Ove gli riuscisse, con l’aiuto (l’aiuto!) di un campo democratico che gli montasse contro, senza se e senza ma, i neri e gli ispanici, a chiamare a sé, a difesa del vecchio mondo e del vecchio modo, larga parte del voto bianco, con ogni probabilità l’8 novembre vincerebbe. 

Una situazione nella quale ci si è venuti a trovare in conseguenza della sconfitta nel 2012 di Mitt Romney.

Il mormone era a quel momento l’argine moderato del GOP.

Un argine che, per la diserzione elettorale delle frange estreme del partito, non tenne.

Ed eccoci qua.