Credere nei sondaggi?

2016 a parte (guardando bene, le previsioni a livello nazionale non erano tanto sbagliate, prevedevano più voti per Hillary Clinton e così fu, solo che negli USA – lo dimenticano anche gli Americani – si vince nei singoli Stati e non nel Paese intero), si deve credere ai sondaggi?
In politica (non è, invero, che negli altri campi le cose siano molto diverse), credo sia opportuno seguire qualche ovvia (?!) indicazione.
Per cominciare, buona regola è guardare al passato: l’Istituto X, l’Istituto Y quali pregressi possono vantare?
Sbagliano spesso?
Non teniamone conto.
Poi, sono troppo ossequiosi nei confronti dei committenti?
Per quanto la cosa alla fine abbia scarso senso, in non pochi casi i risultati delle rilevazioni sono condizionati appunto dalla committenza e si tende a dare per meglio piazzato il partito che ha dato l’incarico.
Anche qui, dubitare e non tenere in considerazione.
Ancora, assolutamente necessario conoscere le posizioni politiche dell’Istituto stesso.
Ciò vale in particolare per gli exit polls che possono essere manipolati al fine di condizionare il voto degli Stati che chiudono dopo per via del fuso orario.
(Nel 2004, appena terminate le operazioni sulla costa atlantica, Zogby affermò che in base agli exit polls John Kerry aveva vinto.
L’intento era quello di fare in modo che i repubblicani degli Stati più ad occidente, ritenendo ormai battuto George Walker Bush, restassero a casa).
Ciò detto, di sondaggi la politica e i media USA per lunghissimo tempo vivono.
Occorre farsene una ragione.