Dopo il New York

Allora, in quel dello Stato della Grande Mela, tra i democratici, la vincitrice Hillary Clinton avrebbe conquistato centotrentacinque delegati contro i centoquattro dell’oppositore Bernie Sanders.

Una notevolissima vittoria in termini percentuali guardando al voto ma un non decisivo vantaggio in ragione appunto di delegati visto che l’attribuzione degli stessi nell’asinello avviene proporzionalmente.

E’ comunque certamente meglio incrementare il proprio vantaggio specie se, come nel caso, si viene da una lunga serie di sconfitte in giro per il Paese.

La meta è dunque per l’ex segretario di Stato sempre più vicina non mancandole poi troppi voti elettorali (ne avrebbe, secondo i calcoli, millenovecentoundici dovendone catturare un totale di almeno duemilatrecentoottantatre).

Il senatore del Vermont, per parte sua, sarebbe arrivato (i numeri possono variare anche se di pochissimo) a milleduecentoventinove e per battere Hillary dovrebbe d’ora in poi stracciare la rivale per ogni dove, California in specie compresa.

Non impossibile ma quasi.

Tra i GOP, Donald Trump, trionfatore e trionfante nel New York, ha messo fuori combattimento (quanto a possibilità matematiche di arrivare alla maggioranza assoluta dei delegati) Ted Cruz – il quale ha pagato con un risultato pessimo anche il fatto di avere parlato più volte di New York come del ricettacolo di ogni male, dal punto di vista etico – l’unico che a tal fine poteva infastidirlo essendo da parecchio in corsa solo per onor di firma il terzo contendente, John Kasich.

Peraltro, il tycoon non può essere sicuro, anzi, di arrivare prima di Cleveland al cinquanta per cento più uno dei delegati.

Ne ha ottocentotrentatre e dovrebbe assicurarsene ben quattrocentoquattro sui seicentotrentaquattro ancora in palio.

Molto dura, l’operazione e probabile la tanto temuta (da Trump) e desiderata (dal GOP) brokered convention.