E dopo l’Impeachment?

Dovesse davvero la Camera votare a maggioranza per il rinvio a giudizio di Trump – per dare effettivamente il via alla procedura di Impeachment – come infinite volte ricordato, la decisione finale spetterebbe, secondo il disposto costituzionale, al Senato.
Laddove, va ripetuto, la destituzione deve essere votata dai due terzi dei suoi membri.
Essendo colà i repubblicani cinquantatre su cento, addirittura venti tra loro dovrebbero votare contro un Presidente pur sempre GOP.
È questo uno scenario del tutto improponibile nei fatti.
Molte, così stando indubbiamente le cose, le domande conseguenti.
Prima fra tutte – che prescinde dal contingente e dalle necessità politiche dei democratici al momento – quella relativa all’impoverimento dell’istituto Impeachment stesso.
Ha, nel tempo, tale procedura più volte fallito (in due occasioni proprio in sede senatoriale).
Fallisse ancora, conserverebbe una significanza, una rilevanza non invece minata alla base dai ripetuti insuccessi?
Ciò detto (ai democratici, adesso, in campagna elettorale, tutto questo interessa poco o nulla, ritengo Nancy Pelosi esclusa), sono gli Asinelli certi che il loro agitare destituzioni sia positivamente accolto dall’elettorato?
E cosa succederebbe se Trump, assolto dalla Camera Alta, fosse poi rieletto?
Quale mai possibile opposizione potrebbero – sconfitti su tutta la linea – organizzare nel secondo mandato del tycoon?