Far venire meno la ‘accountability’ della politica?

Rendere conto del proprio operato (così come un amministratore in specie di risorse finanziarie pubbliche deve fare dando modo di verificare la regolarità e la correttezza della gestione di quanto a lui affidato) è – era – obbligatorio per l’uomo di governo, ovviamente acché il cittadino elettore possa avvedutamente giudicarne l’azione e conseguentemente atteggiarsi nell’urna.
Il vocabolo inglese che (mutuato appunto dalla pubblica amministrazione) indica anche nel campo politico tale complessa articolazione è ‘accountability’.
È ai nostri inquieti, travagliatissimi giorni possibile ancora tale giudizio?
Viene da dire “no”, essendo oramai consuetudinario da parte dei politici tutti trincerarsi sostenendo l’impossibilità di agire altrimenti da quanto fatto, vista e considerata la “determinante” e (per carità!) non discutibile opinione, di volta in volta, degli ‘esperti’, degli ‘scienziati’, degli ‘addetti’, di chiunque venga ritenuto detentore della ‘verità’ nella circostanza.
Ed è ciò talmente vero ed accettato che il governante che ‘dirazzi’ (come Donald Trump negli USA) scegliendo differentemente – lungi dall’essere criticato come assolutamente lecito – viene esposto alla pubblica gogna, sbertucciato, deriso, dato per demente.
Mala tempora currunt sed peiora parantur, convenite?