Gli sconfitti: George Wilcken Romney e il figlio Mitt

Allorquando, in vista delle presidenziali del 2008, l’ex governatore del Massachusetts, il mormone Mitt Romney propose la propria candidatura per ottenere la nomination tra i repubblicani (tutti sanno come andò a finire allora e in seguito: sconfitto nell’occasione da John McCain nelle primarie, si ripresentò nel successivo 2012, ottenne l’agognata investitura ma fu battuto dal presidente in carica Barack Obama), subito mi tornò alla mente la figura del padre, George Wilcken Romney.
Non tanto per le sue pur molto felici imprese politiche – fu successivamente governatore del Michigan, da 1963 al 1969, e nel corso del primo mandato di Richard Nixon (a lui preferito dagli elettori nelle primarie) segretario di Stato allo sviluppo delle abitazioni e delle aree urbane – quanto per due particolarità.
In primo luogo, perché la sua candidatura fu all’origine di un importante dibattito dato che, essendo egli nato in una colonia mormone nel Chihuahua, Messico, sembrava non possedere uno dei tre requisiti richiesti dalla Costituzione per diventare presidente (e, quindi, per candidarsi): la cittadinanza USA dalla nascita.
La questione (che fu all’ordine del giorno anche quando il predetto McCain si propose visto che era a sua volta venuto al mondo fuori dagli States – a Panama – e che è tornata d’attualità nel 2015, essendosi candidato per il 2016 Ted Cruz, nato in Canada) fu risolta sostenendo che la corretta interpretazione del dettato costituzionale doveva portare a ritenere cittadini appunto dalla nascita anche i nati non in terra americana ma dovunque purché da genitori statunitensi.
In secondo luogo, per il capitolo a George Wilcken Romney dedicato da Raymond Cartier, ovviamente trattando in particolare del Michigan, nell’eccezionale ‘Le cinquanta Americhe’, 1961 in Francia e 1962 da noi.
Un Romney, quello del saggista francese, protagonista, in un periodo precedente a quello del suo impegno politico, di un’impresa maiuscola in campo industriale.
Riprendo, citando, elaborando, partendo dal quadro che della situazione anni Cinquanta dà il citato Cartier, le pagine in questione:
“Lunghe, alate, cromate, così le automobili USA prodotte a Detroit nella prima metà degli anni Cinquanta del Novecento.
Dominanti quanto a vendite, incuranti della impalpabile concorrenza delle marche europee, le case costruttrici si ritenevano inattaccabili e nulla pareva turbare la loro serenità.
Ma ecco un primo campanello d’allarme:
1955, la Volkswagen sfonda vendendo la bellezza di trentacinquemila vetture e arrivando a cinquantamila l’anno successivo.
(E’ ambientato a Baltimora nel 1963, ma l’ottimo ‘Tin men’ di Barry Levinson, in particolare nel finale, rende benissimo il ‘momento’ in questione).
E’ in quella temperie che il direttore di una società del ramo automobilistico indipendente e secondaria chiamata Nash fonde l’azienda della quale è alla guida con l’altrettanto secondaria e indipendente Hudson creando la American Motors per tentare l’avventura dedicandosi alla progettazione e realizzazione di una macchina di dimensioni minori, più ragionevoli.
E’ ovviamente George Wilcken Romney il desso che, nel propagandare la propria attività, paragona le auto usualmente prodotte dalle case di Detroit ai dinosauri:
‘Avevano le più belle griglie di radiatore della preistoria ma sono diventati così grossi che sono morti’, dice.
Ed ecco che, riprendendo un antico nome di auto, propone la Rambler, una specie di abile compromesso tra una vettura americana e una del vecchio continente.
Pochi anni davvero e, malgrado lo scetticismo generale, già nel 1957 del nuovo modello si vendono ottantottomila vetture.
Duecentomila nel successivo 1958; oltre quattrocentomila nel 1959.
Le azioni della sua American Motors, cadute a cinque dollari poco dopo il debutto borsistico, cominciano una ascesa che le porta a valere quasi venti volte tanto.
Le vie e le strade sono (relativamente) a questo punto invase dalle auto europee ma anche dalle macchine prodotte e vendute da Romney.
Nel correre tardivamente ai ripari, è proprio al modello Rambler che le case di Detroit faranno riferimento”.
Così Raymond Cartier, il quale, scrivendo nel 1960, non poteva sapere quali strade in futuro il mormone avrebbe felicemente percorso.

9 aprile 2024