Kamala Harris riceve il sostegno degli Obama

Dalle agenzie: L’ex presidente statunitense Barack Obama e sua moglie Michelle hanno espresso, in un video, il loro sostegno alla nomina dell’attuale vicepresidente Kamala Harris quale candidata democratica alle presidenziali di novembre.
Joe Biden, che fu vicepresidente di Obama durante i suoi due mandati, aveva annunciato domenica scorsa il ritiro dalla campagna elettorale, dopo settimane di appelli da parte di membri influenti del partito, che non credevano più nelle possibilità per l’81enne di battere Donald Trump il prossimo 5 novembre e nelle sue capacità di governare altri quattro anni.
Barack Obama aveva inizialmente accolto con favore la decisione di Joe Biden, senza menzionare Kamala Harris, che nelle quarantotto ore successive all’annuncio di Biden aveva già ottenuto il sostegno di figure di spicco dei “dem” e di centinaia di delegati del partito.
“Michelle e io non potremmo essere più orgogliosi di sostenerti e di fare tutto il possibile per farti vincere queste elezioni e arrivare allo Studio Ovale”, ha detto l’ex presidente Barack Obama a Kamala Harris durante una telefonata a cui ha partecipato anche sua moglie, secondo il video pubblicato da CNN.
Kamala Harris ha ringraziato gli Obama per il loro sostegno nella corsa alla Casa Bianca, espresso con un video. “Oh mio Dio. Michelle, Barack, questo significa così tanto per me. Non vediamo l’ora di compiere questa impresa con voi due, Doug e io. E di uscire, di essere in viaggio”, ha affermato la vicepresidente, come riporta CNN.

26 luglio 2024

Kamala Harris for President?

In premessa: ove si escluda la parte storica e quella generale seguente, tutte le previsioni sotto riportate possono saltare nel caso in cui Joe Biden, per quanto lo abbia escluso assicurando che intende restare alla Casa Bianca fino al 20 gennaio prossimo, ad un certo punto modificasse il proprio atteggiamento e decidesse di rassegnare le dimissioni (imitando per tutt’altra ragione Richard Nixon), perché, naturalmente, lo scenario – Kamala Harris subito Presidente e in corsa come uscente (sesta a cimentarsi in tale contingenza dopo Theodore Roosevelt, Calvin Coolidge, Harry Truman, Lyndon Johnson, tutti eletti, e Gerald Ford, il solo finora succeduto a un dimissionario, il sopra citato Nixon, sconfitto) – cambierebbe radicalmente.
Sarebbe un altro film, una differente storia!
È con il Quindicesimo Emendamento datato 1870 che i neri americani maschi ottengono il diritto di voto attivo e passivo.
E’ con il Diciannovesimo Emendamento entrato in vigore nel 1920, esattamente cinquant’anni dopo, che il medesimo diritto viene concesso alle donne in genere a livello federale (in alcuni Stati, in precedenza, tanto che Jeannette Pickering Rankin fu alla Camera a Washington già nel 1917 in rappresentanza del Montana).
È addirittura (e lo ricordano tutti) solo nel 2016, trascorsi un’infinità d’anni, che una Signora conquista la Nomination, l’investitura ufficiale, di uno dei due partiti egemoni della politica americana, il democratico, e corre finalmente per la Casa Bianca.
Si tratta di Hillary Clinton – che perde rocambolescamente pur prevalendo nel Paese per voto popolare – la quale, a ben guardare, proprio per il fatto di candidarsi con il cognome del marito ex inquilino di White House in qualche modo diminuisce la portata dell’impresa che intende compiere.
A prescindere da ogni altra considerazione, il fatto che invece Kamala Harris abbia mantenuto nell’agone e proponga il proprio cognome e non quello del coniuge, a mio parere, deve farla valutare in partenza più positivamente.
È il percorso politico della Signora di cui si parla in qualche modo strano.
Decisamente ricco di successi e di consensi (per quanto ovviamente le critiche e i contrasti secondo norma non manchino) fino al momento della maggiore esposizione (è stata procuratrice distrettuale di San Francisco e poi generale della California prima di essere eletta Senatrice dello Stato con capitale Sacramento), pare rapidamente declinare una volta nella capitale.
In particolare, da quando si dichiara in corsa per la Nomination democratica in vista delle elezioni del 2020.
Velocemente evaporati gli iniziali notevoli sostegni e finiti i contributi economici, è costretta al ritiro già a dicembre 2019.
Considerata fuorigioco anche perché nei dibattiti fra candidati non aveva risparmiato critiche al futuro designato Joe Biden, riavvicinatasi abilmente allo stesso, viene alla fine prescelta come Running Mate invero non per le capacità politiche ma per ragioni afferenti la necessità di completare il ticket democratico mettendo accanto ad un uomo bianco cattolico e rappresentante l’establishment una donna asioamericana (non per carità afroamericana come si continua a dire) di differente religione e posizione politica interna.
Quarantanovesima Vice e prima del gentil sesso (non delle minoranze comunque intese essendo Charles Curtis, il coequipier di Herbert Hoover a far luogo dal 1929, un pellerossa), parte decisamente male anche perché il Presidente – con feroce malizia? – le mette in mano la patata più bollente tra tutte: la irrisolvibile questione migratoria diciamo così messicana.
Tornata nell’ombra e malamente, con sufficienza, trattata perfino da media sempre sostenitori del partito, riappare praticamente a partire dal fallimento di Joe Biden ad Atlanta in ambito televisivo nel confronto del 27 giugno con Donald Trump, per occupare dal 21 luglio scorso, giorno della rinuncia alla nuova candidatura del vecchio Presidente – non ancora sessantenne quale è e pertanto nella situazione politica USA quasi giovane (tanto da poter dire nel suo primo discorso dopo il bailamme, guardando all’età del contendente repubblicano, di essere il futuro, di rappresentarlo) – assolutamente la scena e in poche battute, ottenuto il sostegno di praticamente tutti i big del partito, brillare di forte luce propria, pronta a contrastare il tycoon e, sostiene necessariamente (ci mancherebbe altro), a batterlo.
Così stando le cose, riuscirà, resistendo agli attacchi di ogni tipo che già le portano e più violentemente le saranno portati, Harris a diventare la prima Presidente donna?
Difficile rispondere per quanto alcune cose possano essere qui già dette.
Occorrerà in primo luogo che il compagno di ticket che sarà scelto componga con lei un duo efficace geopoliticamente, azzeccato quanto alla collocazione ideologica, complementare al punto giusto e cioè praticamente in senso opposto (un Vice maschio e bianco?) a quello intelligentemente da lei e Biden formato.
Sarà necessario rinvigorire con adeguate proposte e poi cavalcare con perizia l’onda legata specialmente alla difesa ed estensione dei cosiddetti diritti civili (tali non da tutti considerati, anzi) che oggi internamente la sostiene sperando, perché no?, negli errori, magari nella sottovalutazione degli avversari.
Ottenere indispensabilmente i delegati degli Stati che davvero decidono la contesa, quelli della Rust Belt in particolare, ai quali si sta già rivolgendo con efficacia J. D. Vance, l’enfant du pays proprio per tale finalità scelto come compagno di corsa da Donald Trump.
Ottenere il voto non solo dei democratici tradizionali ma di quelli estremi e radicali come anche del notevole numero di indipendenti comunque intenzionati a recarsi alle urne come evidenzia il fatto che si siano iscritti alle liste elettorali.
Dimostrare nella situazione internazionale straordinariamente difficile che il mondo vive e che vuole gli Stati Uniti protagonisti di avere i requisiti necessari e di saper cogliere nell’ambito i desideri veri della maggioranza dei cittadini, i non pochi isolazionisti compresi.
Tutto questo e infinitamente di più ma soprattutto – vale in ogni caso e pertanto anche per conquistare White House – come sapeva Napoleone che cercava generali benvoluti dagli Dei, sarà indispensabile non solo che sia fortunata ma essere considerata tale dai più dando nella temperie ancora una volta ragione alla felicissima intuizione del vecchio Otto von Bismarck-Schönhausen che già nel declinare dell’Ottocento sosteneva: “Esiste una particolare Provvidenza Divina a favore degli stupidi, dei bambini, degli ubriachi e degli Stati Uniti d’America!” (“Es gibt eine göttliche Vorsehung, welche die Dummen, die Kinder, die Betrunkenen und die Vereinigten Staaten beschützt!”)

26 luglio 2024

USA: una situazione senza precedenti

Gli Stati Uniti d’America hanno:
un Presidente in carica praticamente certo della nuova Nomination che ha annunciato che non si ripresenterà due mesi prima della investitura ufficiale alla Convention: mai successo prima
lo stesso che informa che intende comunque continuare a governare fino alla scadenza del mandato: mai successo prima
un Vicepresidente che ha ricevuto sostanzialmente per via dinastica la Nomination: mai successo prima
uno sfidante che è anche un ex Presidente: accaduto solo nel 1892, ovviamente in un contesto del tutto diverso
avranno in caso di vittoria di Donald Trump una situazione che si annuncia drammatica: settantasei giorni (dal 6 novembre prossimo al 20 gennaio 2025) nei quali un Capo dello Stato in carica e nel pieno delle funzioni avrà a che fare con un eletto il quale praticamente a proposito di ogni argomento è su posizioni opposte.
Una situazione esplosiva per via dei conflitti esistenti chissà se e come sanabili.

26 luglio 2024

Nelle parole di Joe Biden le ragioni del ritiro

Dalle agenzie: “Credo che il mio primato come presidente, la mia leadership nel mondo, la mia visione per il futuro dell’America meritassero tutti un secondo mandato. Ma niente può ostacolare il salvataggio della nostra democrazia, nemmeno l’ambizione personale. La soluzione migliore è passare il testimone a una nuova generazione. Questo è il modo migliore per unire la nostra nazione e il partito”: con un discorso storico alla nazione di quindici minuti, che entrerà a far parte della sua eredità, il presidente USA Joe Biden ha spiegato così dallo studio Ovale il motivo del suo ritiro dalla corsa per le presidenziali di novembre, dopo le crescenti pressioni, anche da parte di diversi membri del suo partito, a seguito della debacle nel dibattito TV con Donald Trump. Nessun ragione medica, quindi, ma la consapevolezza che era necessario fare un passo indietro per il bene del Paese e del partito. Uno spirito di sacrificio e un amore di Patria che l’attuale inquilino della Casa Bianca ha paragonato a quelli di Thomas Jefferson, George Washington e Roosevelt. “My fellow americans” (miei concittadini americani)“, ha esordito con tono quasi colloquiale dal ‘resolute desk’, con dietro le foto di famiglia.
“Venero la mia carica, che è stato l’onore della mia vita, ma amo di più il Paese. La difesa della democrazia è più importante di qualsiasi titolo”, ha insistito, avvisando però che “il compito sacro di perfezionare la nostra Unione non riguarda me ma voi, le vostre famiglie, il vostro futuro”.
Quindi ha ammesso che “è arrivato il momento di voci nuove, e più giovani come quella della sua vice Kamala Harris, cui ha rinnovato il suo endorsement: “è esperta, tosta e capace”.
Il commander in chief ha però deluso quanti, da Trump a molti repubblicani, gli chiedono di dimettersi dalla presidenza, assicurando che “finirò il lavoro”.
“Nei prossimi sei mesi mi concentrerò sul mio lavoro di presidente. Ciò significa che continuerò a ridurre i costi per le famiglie che lavorano duramente e a far crescere la nostra economia. Continuerò a difendere le nostre libertà personali e i nostri diritti civili, dal diritto di voto al diritto di scelta”.
E continuerò ad impegnarsi “per la pace a Gaza” (oggi, giovedì, incontrerà il premier israeliano) e “per mantenere il sostegno all’Ucraina”.
Quindi ha elogiato la forza della democrazia statunitense e ricordato che tutto è nelle mani degli elettori.
L’America, ha detto, è “più forte” di “qualsiasi dittatore o tiranno” ma “la storia, il potere e l’idea dell’America è nelle vostre mani”.
“Ora dovete scegliere tra la speranza e l’odio, tra l’unità e le divisioni”, ha proseguito evocando indirettamente la retorica di Donald Trump.
Usando come sfondo lo studio Ovale per la quarta volta, l’ottantunenne Joe Biden suggella così una carriera di cinquant’anni, diventando il primo presidente in carica a non cercare la rielezione dal 1968, quando Lyndon Johnson, sotto accusa per la sua gestione della guerra del Vietnam, si ritirò improvvisamente dalla campagna a inizio primarie. Biden si unisce anche a James K. Polk, James Buchanan, Rutherford B. Hayes, Calvin Coolidge e Harry Truman nella lista dei presidenti che hanno deciso di non ricandidarsi.

25 luglio 2024

Harris sta esaminando Buttigieg per la Vicepresidenza

Per quanto la NBC News sembri in qualche modo stupita della notizia che da, quella che segue è una ipotesi dal sottoscritto già ampiamente esposta. Eccola; “Lo staff elettorale di Kamala Harris sta considerando anche il segretario ai trasporti Pete Buttigieg come possibile candidato alla Vicepresidenza”.
Lo stratega politico del Grand Old Party Mike Murphy ha detto che Buttigieg è la “mossa più intelligente” per Harris perché “afferma il futuro contro il passato più forte”.

25 luglio 2024

Dov’è Robert Kennedy Jr.?

Secondo Politico: “Robert Kennedy Jr. non si vede da nessuna parte. Invece di fare campagna lo sfidante indipendente ha cancellato diversi eventi elettorali e ha prospettato l’ipotesi di abbandonare la corsa e di sostenere Trump. Così facendo nei sondaggi è rimasto fermo se non regredito. Le sue prospettive non sono certamente buone”.

25 luglio 2024

Democrazia

La ‘sequenza’ Biden/Harris dimostra inconfutabilmente come la sbandierata procedura Caucus/Primarie che dovrebbe dare al popolo la possibilità di scegliere i candidati, in particolare in campo democratico, non conti assolutamente niente.
Joe Biden, reduce da risultati elettorali imbarazzanti (meno dell’uno per cento, non tra tutti gli elettori ma tra i simpatizzanti del partito, in Iowa), fu raccolto col cucchiaino da Barack Obama (che aveva bisogno di un paravento bianco) nel 2008 e Kamala Harris, in precedenza costretta a rinunciare alla corsa per la Nomination perché non la voleva nessuno, è stata miracolata da Biden (che a sua volta necessitava di qualcuno che rappresentasse le donne e le minoranze etniche) nel 2020 e ancora di più con l’endorsement oggi.
Del voto popolare chi se n’è fregato?
Poi, il ‘figlio prediletto’ quasi dinasticamente selezionato viene messo in campo ed affronta ‘il lupo cattivo’, come è rappresentata a suon di servizievoli e mutevoli (prima tutti con Biden poi tutti contro: non avevano capito niente?) media l’alternativa (che qualche volta invero ci mette del suo).
Guardando ad altre ‘democrazie’, in Francia governa e fa quel che gli pare un tale che ha preso al momento della verità (e non dopo, dovendo difendere il mondo libero in pericolo da una ‘orchessa’) suffragi pari a circa il venti per cento degli aventi diritto al voto.
Detto che è ora che il sistema della selezione dei candidati partitici USA cambi (e che non accadrà), in generale
“nessuno è meno democratico di un Democratico” (attenti alle iniziali minuscole e maiuscole) dovunque nel mondo! Buon divertimento.

24 luglio 2024

Secondo la CNN, JD Vance ha un rating negativo

“Il senatore JD Vance (R-OH) sta facendo epoca come il candidato alla Vicepresidenza meno apprezzato dal 1980 in seguito alla scelta fatta nella Convention del suo partito”, riferisce – viene da dire “e ci mancherebbe altro!” – la CNN.
Forse l’estensore della nota non si rende conto del fatto che scrivendo “dal 1980” sta riferendosi ad una tornata elettorale stravinta dai repubblicani e quanto all’allora candidato GOP alla carica vicaria a George Herbert Bush, nientemeno. Mah????

24 luglio 2024

Che cosa è l’Impeachment

Vista la richiesta di Impeachment della Vicepresidente Kamala Harris ad opera del Rappresentante del Tennessee Andy Ogles sarà opportuno dare spiegazioni quanto all’istituto stesso.
Come scrivo nel mio ‘Glossario essenziale della politica americana’, l’Impeachment è la messa in stato d’accusa del Presidente (come pure di funzionari, quale appunto il Vicepresidente) da parte della Camera – che può assumere a maggioranza l’iniziativa – per tradimento, corruzione e altri crimini o misfatti (dizione estremamente generica).
Se l’assemblea citata lo ritiene, l’inquisito va a giudizio davanti al Senato che, essendo in quel momento Organo Giudiziario, quando deve occuparsi del Capo dello Stato (o del suo Vice) viene per la bisogna presieduto dal ‘Chief’ della Corte Suprema.
Perché si arrivi alla destituzione il giudizio negativo (positivo quanto alla richesta) deve essere votato dai due terzi dei Senatori presenti.
Finora, tre i Capi dello Stato sottoposti al processo ed assolti: Andrew Johnson, Bill Clinton e due volte Donald Trump.
Contrariamente a quanto universalmente si ritiene, Richard Nixon non fu soggetto all’Impeachment in quanto dimessosi prima dell’inizio dell’iter della procedura.

24 luglio 2024

Richiesta di Impeachment per Kamala Harris

In una temperie oramai incontrollabile, il repubblicano Andy Ogles, Rappresentante del Tennessee, ha presentato una risoluzione per chiedere la messa in stato di accusa di Kamala Harris per presunti gravi crimini commessi nelle vesti di Vicepresidente.
Negli articoli presentati Ogles accusa Harris di aver dimostrato una “straordinaria incompetenza nell’esecuzione di doveri” in particolare sull’immigrazione, uno dei dossier che Joe Biden le aveva affidato.
Harris avrebbe mostrato un “forte rifiuto” ad attuare le leggi esistenti e una “palpabile indifferenza verso gli americani che soffrono a causa della crisi al confine” con il Messico, ha osservato Ogles.
Ammesso che la richiesta venga presa in esame, sarebbe teoricamente possibile (non probabile) da parte di una Camera al momento a maggioranza repubblicana il rinvio a giudizio di Harris davanti al Senato (che in caso di Impeachment ha funzione giudicante) ma assolutamente negato ogni esito negativo dato che la maggioranza colà è democratica e che comunque occorrerebbe il voto convergente di due terzi dei Senatori presenti.

24 luglio 2024