Gli sconfitti: Ross Perot, il terzo incomodo

Per quanto non tutti gli analisti concordino al riguardo, a mio parere senza dubbio, la partecipazione di Ross Perot alle elezioni per la Casa Bianca del 1992 favorì grandemente lo sfidante democratico Bill Clinton e, pescando decisamente tra gli elettori GOP, scardinò al punto di fargli perdere la partita le difese del repubblicano presidente uscente George Herbert Bush.
Catturare da indipendente (e pagandosi personalmente la campagna), come fece il miliardario texano nell’occasione, addirittura il diciannove per cento dei voto popolare è impresa di grande rilievo superata nel Novecento solo da un altro ‘terzo uomo’, Theodore Roosevelt nella tornata del 1912.
Ove si guardi, invece, agli Stati e ai delegati, Perot non vinse da nessuna parte (riuscì a classificarsi secondo solo nel Maine e nello Utah) e di conseguenza non ebbe la possibilità di contare su alcun voto elettorale alla riunione del Collegio Nazionale degli Elettori (iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni visto che lo specifico compito è eleggere il Capo dello Stato nel Collegio che vanno a comporre).
Meglio di lui da questo punto di vista, pertanto e sempre nel Novecento, in tre al di là dell’appena citato primo Roosevelt: Robert La Follette, J. Strom Thurmond e George Wallace.
Oltre al linguaggio usato, comprensibile a tutti, e alla semplicità delle proposte, al risultato contribuì notevolmente la sua partecipazione ai dibattiti televisivi nei quali si dimostrò efficacissimo.

Ripropostosi nel 1996, questa volta non da indipendente ma da rappresentante del Reform Party da lui fondato, raccolse poco più dell’otto per cento dei voti e nuovamente nessun delegato.
Peraltro, in questa seconda occasione, Perot non fu ammesso ai citati e importantissimi dibattiti tv perché, contrariamente a quattro anni prima, i sondaggi non gli attribuivano una presa superiore al quindici per cento, il limite minimo da raggiungere per essere ammessi.

17 aprile 2024