I ‘Codici Neri’ e i ‘Borboni’ in America

Terminata che fu la Guerra di Secessione, il Sud oppose non poche resistenze alle richieste del Presidente Andrew Johnson, richieste che dovevano necessariamente essere accolte dalle singole assemblee locali acché gli Stati potessero essere riammessi nell’Unione.
Il successore di Lincoln e il Nord chiedevano che fossero sconfessate le delibere di Secessione a suo tempo votate, che gli Stati non si rifiutassero di onorare i debiti di guerra della Confederazione, che fosse ratificato il Tredicesimo Emendamento che aboliva la schiavitù.
Invitavano, inoltre, a concedere il diritto di voto almeno a qualche esponente qualificato della comunità di colore.
Con estrema riluttanza, ai primi tre dettami fu in qualche modo data attuazione.
Non invece al quarto.
Nelle seguenti votazioni, per di più, molti tra gli eletti risultarono fortemente collegati alla Confederazione e, addirittura, la Georgia arrivò ad inviare al Senato di Washington Alexander H. Stephens, già vice di Jefferson Davis.
Parve, quindi, ai Nordisti che il Sud non considerasse la sconfitta come definitiva e cercasse una sia pur relativa rivalsa.
Accadde, poi, che i nuovi organi legislativi degli Stati sudisti approvassero nel 1865 e nel 1866 i cosiddetti ‘Codici Neri’.
Il contenuto di questi codici variava da Stato a Stato, ma tutti avevano il medesimo obiettivo: mantenere i neri affrancati in un sostanziale stato di subalternità.
Venivano, tali disposizioni, giustificate dai Sudisti come indispensabili per regolare e graduare il passaggio degli ex schiavi dalla catena alla libertà.
Venivano, tali leggi, considerate dai Nordisti quali pessime eredità delle norme schiaviste in auge fino a poco tempo prima.
A por fine alla validità dei ‘Codici Neri’ provvidero, dapprima l’approvazione – contrastatissima in quanto dovette superare il veto presidenziale ottenendo in seconda lettura l’adesione dei due terzi – di una disposizione di legge che autorizzava a denunciare ai tribunali militari i casi di discriminazione razziale, e, dopo, l’altrettanto e ancor più difficile e per molti versi illegittima ratifica del contestatissimo Quattordicesimo Emendamento.
Terminata che fu la Guerra di Secessione, trascorsi i primi successivi tempi nei quali in molteplici casi gli Stati e le città del Sud sconfitto furono amministrati da progressisti, una forte ondata fece tornare al potere i conservatori.
E non si trattò solo di un ‘ritorno’ politico perché i riflessi di questo nostalgico flusso si videro in altri campi.
Non pochi, ad esempio, i romanzi e i saggi nei quali si trattava della vita pregressa, in particolare, nelle piantagioni, esaltandola.
In breve tempo, i democratici ex schiavisti, e da quel momento e per quasi un secolo segregazionisti, presero quota occupando costantemente i Governatorati.
Ricordando a qualcuno, eccessivamente a dire il vero, tutto ciò il momento storico nel quale i Re di Francia erano tornati sul trono dopo la rivoluzione e l’era napoleonica con l’intento di restaurare il restaurabile, i Sudisti che cercarono il predetto ‘ritorno’ al passato furono chiamati ‘Borboni’:
Per inciso, essendo i repubblicani gli avversari dello schiavismo, per i successivi settantacinque anni, con l’eccezione del 1928 (i democratici, nell’occasione, candidarono per White House Alfred Smith che era cattolico la qual cosa bastò ad alienargli il voto del Sud), il partito dell’Asino, nelle elezioni presidenziali, vinse sempre in tutti gli Stati meridionali.

10 aprile 2024