I film dai quali, quanto alle elezioni americane, non è possibile prescindere

Capita poi che perfino in una commedia senza pretese se non quella di allietare come ‘Speechless’ (‘Ciao Julia, sono Kevin’, sui nostri schermi, 1994) – ma il titolo originale avrebbe dovuto mettere in proposito sul chi va là – di interessanti argomentazioni relative alle campagne elettorali americane se ne rinvengano eccome.
Mai, quindi – ma c’è forse qualche altro qualsiasi tema a proposito del quale sia possibile farlo? – cristallizzare la propria attenzione montando i paraocchi.
Tre – e ne ho viste a dozzine specie in tempi lontani – comunque, le pellicole hollywoodiane delle cui sceneggiature ‘politico istituzionali’ non è possibile fare a meno (per quanto, a ben guardare, una quarta potrebbe essere ‘Advise and Consent’ di Otto Preminger, 1962, ‘Tempesta su Washington’ da noi).
La prima è datata 1964 ed è opera del grande Gore Vidal, intellettuale di massimo aspetto da sempre attento all’argomento.
Già il fatto che lo scrittore e drammaturgo avesse chiamato ‘The Best Man’ la piece teatrale dalla quale poi – regista Franklin Schaffner il cineasta consulente per le apparizioni televisive di John Kennedy al quale si era altresì rivolta Jackie Kennedy perché illustrasse la ‘sua’ Casa Bianca – trasse ‘L’amaro sapore del potere’ (titolo italiano non del tutto fuori luogo) fa comprendere come, infine e per quanto ciò possa essere considerato frutto di leggenda e non verità, gli Americani ritengano (ritenevano?) che dallo scontro tra i candidati alla Nomination (il film è ambientato in una Convention partitica delle cui regole fornisce notevole rappresentazione e non potrà – ne siamo convinti – che essere in seguito altrettanto tra i due ammessi ‘al primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno bisestile’) emerge solo e soltanto l’Uomo migliore!
La seconda in ordine di realizzazione è del 1972 e consente all’autore Jeremy Larner di vincere l’Oscar.
Poggia – fondamentale che così sia oltre il plot – su una atmosfera ancora kennediana e su un Robert Redford assolutamente in parte.
Si intitola ‘The Candidate’ (‘Il candidato’) e propone la campagna elettorale per il Senato federale di un fino a quel mentre idealista politico di base californiano che un professionista del settore va a scovare, sollecita e infine porta a vincere introducendolo in un mondo le cui regole gli sono (anche se non soprattutto per sua volontà, certamente) ignote.
La terza pellicola è assolutamente straordinaria e lo script opera di Martyn
Burke – del 1997 e vergato per una produzione televisiva minore (quando occorre che perfino l’autore non comprenda dove va a parare…) girata da Joe Dante il cui titolo è ‘The Second Civil War’ – è semplicemente da imparare a memoria.
Magistrale difatti la rappresentazione che della nefasta influenza dei media sulla politica e sulla società, in particolare di quelli politicamente corretti, fornisce.
Impeccabile l’immagine che della sempre più evidente frattura tra Repubblicani e Democratici propone evidenziando come nei differenti Stati ci si contrapponga profondamente.
Eccezionale in ogni minimo dettaglio, ivi compresi gli apporti e le citazioni spacciati in seguito come prodotti di precedenti uomini politici assolutamente americani e invece, lo vediamo, opera di capacissimi immigrati creativi delle più diverse provenienze.
Ovvio che il terribile finale (scoppia effettivamente la Seconda Guerra Civile Americana) è la inaccettabile minaccia contro la quale gli USA devono battersi.
Possono farlo abbassando infinitamente i toni ai quali le ultime campagne elettorali e gli esiti tanto ferocemente opposti ci vanno purtroppo abituando?

7 aprile 2024