In breve, la storia dei rapporti USA/Messico

Tremila pagine?

Non basterebbero.

Quindi e conseguentemente, cinquanta/settanta righe.

Lunga e articolatissima la storia dei rapporti tra gli Stati Uniti d’America e il Messico.

E come potrebbe essere altrimenti, considerata la contiguità, la lunghissima frontiera che certamente divide ma anche, fatalmente, unisce?

Semplificando brutalmente, come detto, partiamo dai primi insediamenti degli americani nell’allora Stato di Coahuila j Tejas (occorre ricordare che il Messico è una Stato federale).

I nuovi arrivati chiedono il permesso di stabilirsi al governo centrale e lo ottengono.

Sarebbero ospiti.

Passa poco più di un decennio e pensano bene di rendersi indipendenti.

1836: Alamo e poi San Jacinto.

Per il vero, il tutto non riguarderebbe gli USA perché il così neonato Texas sarà uno Stato indipendente fino al successivo 1845, ma insomma.

Un anno ancora e, appunto nel 1846, le due Nazioni vengono alle mani.

Guerra Messicana, con l’esercito americano che arriva ad occupare la capitale nemica e alla fine un trattato che costringe il Paese latino americano a cedere larghissima parte dei suoi domini: per dire, gli attuali California, New Mexico, Utah, Arizona, Nevada…

E dopo?

Una continua ingerenza sugli affari messicani da parte del colosso USA che si andava formando.

Certo, una ingerenza non oppressiva come quella francese che portò all’effimero Impero di Massimiliano d’Asburgo, ma comunque…

Incredibilmente, per tutto il lungo periodo del ‘Porfiriato’ gli Stati Uniti guardarono di buon occhio a Sud salvo d’improvviso assistere allo scoppio della Rivoluzione.

Evento epocale e – possibile dirlo, considerando il numero infinito di lutti causato? – magnifico, la Rivoluzione Messicana fu seguita attentamente (eufemismo, visto che non pochi furono i tentativi di influenzare questo o quel belligerante) da Washington.

Nel mentre, Wilson ‘invase’ il Nord del vicino Paese.

Era successo che Pancho Villa – arrabbiato per questioni sue –  era entrato in armi negli USA ed era arrivato a Columbus, New Mexico, causando un bel numero di morti.

Così, Wilson, d’accordo obtorto collo Venustiano Carranza a quel momento l’uomo forte, inviò nientemeno che l’esercito a cercare il buon Pancho.

Pershing, che comandava la spedizione, non cavò un ragno da un buco e neppure riuscì ad avvistare il ribelle.

Dipoi, un periodo diciamo così ‘normale’ (per quanto…).

Il Messico, da Calles in avanti, era governato con mano ferma dal Partito Nazionale Rivoluzionario che nel dopoguerra si trasformò (all’incirca) in Istituzionale.

Per farla breve e arrivare al motivo principale del contendere odierno (e come cambiano le cose: negli anni Venti dell’Ottocento erano gli americani ad andare in Messico – il Texas, come detto, era messicano – e da decenni e decenni il flusso è nella direzione opposta), il governo di Washington si preoccupa della immigrazione da Sud almeno dagli anni Quaranta.

Dwight Eisenhower – nessuno lo ricorda ma è storia – in carica dal 1953 al 1961, fece deportare un numero altissimo di messicani entrati illegalmente: si parla di un milione e mezzo di persone.

Oggi, il problema è reso più grave dagli esiti della passata (davvero?) crisi economica e dagli effetti devastanti che ha avuto per le classi ‘bassi’ USA, nonché sulla classe media.

Donald Trump cavalca l’onda?

Assolutamente sì, ma è un’onda lunga che può portarlo lontano.

PS. Di un ‘muro’ che avrebbe dovuto fermare i messicani, definito incredibilmente ‘dell’amicizia’, parla la commedia ‘Ciao Giulia sono Kevin’, 1994. Lo sceneggiatore Robert King aveva visto lontano!