Kissinger e il ‘carattere’ di un Presidente

“Nell’America contemporanea il potere gravita in misura sempre crescente attorno a personaggi animati da un desiderio quasi ossessivo di conseguirlo.
Chiunque non si butti in modo maniacale nel procedimento di nomina a candidato, chiunque ne sia spaventato o lo disdegni, correrà, per rimarchevoli che siano i suoi titoli di merito, dietro a un miraggio…”
Così, nelle pagine iniziali del suo ‘Gli anni della Casa Bianca’, pubblicato nel 1979, Henry Kissinger.
Poco oltre, ancora più sacrilegamente:
“La procedura seguita per la nomina premia il candidato che abbia doti organizzative, che sia capace di dare espressione politica alle necessità del momento.
Premia un maestro di ambiguità.
Un manipolatore del consenso.
Capace di subordinare i programmi alla necessità di dare vita a una ampia coalizione.
Un uomo che comprenda la complessa essenza del procedimento di nomina sconfiggerà inevitabilmente quel candidato che persegua la meta dando rilievo alla sostanza”.
Parole certamente dettate – anche se non soprattutto – dai ripetuti fallimenti, quanto alla Casa Bianca, di Nelson Aldrich Rockefeller, il suo mentore, l’uomo politico ideale (come, nel campo avverso Adlai Stevenson) e proprio per questo sconfitto.
L’uomo che “sarebbe stato, ne sono sicuro, un grande Presidente” e che tale non fu.