‘Kneeling’: riflessioni e domande

Al fine di rimarcare la propria partecipazione al lutto conseguente la morte a Minneapolis per mano di un poliziotto del nero George Floyd è invalso negli Stati Uniti in questi giorni l’uso di inginocchiarsi (‘kneeling’).
Atleti, attori, politici, gente comune lo ha pubblicamente fatto e lo fa.
Un comportamento – enfatizzato dai media ostili a Trump – ovviamente infinitamente più ‘giusto’ rispetto ai vandalismi e ai saccheggi messi in atto un po’ ovunque da bande di facinorosi.
Polemiche di non poco conto sono naturalmente insorte anche a questo proposito.
Come sempre, l’utilizzo in politica di un atteggiamento viene giudicato assai differentemente dalle contrapposte parti.
Resta un dato, incontestabile: l’inginocchiarsi è un gesto appartenente a molte religioni che si compie soprattutto nel momento iniziale dell’incontro con Dio e indica una richiesta incondizionata di perdono.
Come lo si deve intendere invece nella contingenza?
È – in qualche modo, ‘solamente’ – una preghiera per il defunto?
Può essere inteso da qualcuno come una provocazione?
In un mondo ‘americano’ che vede i più religiosi e conservatori ‘a destra’, che vede sempre più radicalizzarsi le differenze tra repubblicani e democratici, tra gli Stati (cosa ha a che fare un californiano con un abitante dell’Idaho?), può essere il ‘kneeling’ usato ‘dalla sinistra’ a dir poco laica senza che, per dire, gli Evangelici, i Mormoni e in genere gli Osservanti lo considerino un condannabile ‘esproprio’ a fini politici?