La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America

A seguito delle sentenze locali di differenti Organi giudiziari del Colorado e del Maine che – a loro modo di vedere correttamente – applicano al tycoon un comma dell’Emendamento del 1868 che in materia faceva ovviamente riferimento a personaggi implicati nella Secessione appena sedata escludendolo dalla campagna delle Primarie nei due Stati (altri avendo deciso differentemente ed essendo comunque possibile che di contro altri ancora prendano la stessa strada), Donald Trump ha fatto ricorso alla corte Suprema Federale che ha deliberato di discutere del grave caso il prossimo 8 febbraio.
E’ quindi opportuno – peraltro, non certamente solo per la situazione descritta – esaminare l’importante, decisivo consesso.
Ecco.

Semplificando a volte brutalmente, data l’impossibilità di allargare come sarebbe dovuto in questo ambito il complesso, assai articolato, tema:
La Corte Suprema degli USA è l’unico organo giudiziario espressamente previsto dalla Costituzione americana che, accanto ad esso, elenca “quelle Corti minori che il Congresso potrà, di tempo in tempo, creare e costituire” (ed, ovviamente, se del caso, sopprimere, in mancanza di una espressa garanzia costituzionale, concessa, quindi, solo alla Corte stessa).
Risulta, quindi, del tutto evidente che nella mente dei partecipanti alla Convenzione dalla quale trasse origine la Costituzione degli Stati Uniti la Corte Suprema doveva essere il più alto Tribunale Federale cui era affidato il compito prevalente di una uniforme applicazione del diritto in tutti gli USA ed una funzione equilibratrice, di garanzia del corretto andamento del meccanismo federale.
Ma c’è di più, poiché un’ulteriore prerogativa spettante alla stessa Corte consiste nella cosiddetta ‘judicial review’ e cioè nel controllo di costituzionalità delle leggi, siano esse statali o federali.
Cosicché la Corte Suprema finisce con il cumulare, grosso modo, quelli che sono in Italia i compiti della Corte di Cassazione e di quella Costituzionale.
E’ questa seconda la funzione privilegiata sulla quale si è costituito il notevole potere dell’organo che è considerato l’autentico interprete della Costituzione scritta il che ha consentito, attraverso una giurisprudenza evolutiva o addirittura creatrice (contro tale ultima ‘evoluzione’ propria dei ‘liberal’ progressisti si battono gli ‘originalisti’ conservatori che intendono attenersi strettamente al disposto), ad un testo approvato oltre due secoli orsono e modificato in poche occasioni attraverso gli Emendamenti di continuare ad essere all’altezza delle necessità.
Stando al dettato della Carta, i giudici appartenenti alla Corte Suprema devono essere nominati (come gli alti Funzionari statali, gli Ambasciatori e gli altri Giudici Federali) dal Presidente, con il consenso del Senato (che ratifica o meno l’operato del Capo dello Stato), e, a garanzia della loro indipendenza, la stessa legge istitutiva prevede che il nominato goda della ‘inamovibilità’ (è, pertanto, in carica a vita) e della ‘intangibilità del trattamento economico’ (l’indennizzo, secondo per entità solo a quello dell’inquilino della Executive Mansion, non può essere diminuito per nessuna ragione né tassato).
Pertanto, il giudice federale, al riparo da ogni possibile influenza così del Parlamento che del Presidente, una volta nominato è libero di esprimere le proprie indipendenti valutazioni.
Attualmente, il numero dei giudici è fissato in nove compreso il Presidente (‘Chief’).

P.S. 1
L’importanza della Corte Suprema nella vita politico istituzionale degli Stati Uniti non fu storicamente immediatamente colta dai suoi membri e, tantomeno, dai suoi primi Presidenti.
E’ solo con la nomina di John Marshall, poi in carica dal 1801 al 1835, che ci si rese conto dell’importanza della sua azione.
Marshall, insediato dallo sconfitto John Adams secondo leggenda la mezzanotte dell’ultimo giorno di permanenza in carica quale Presidente (in verità, leggermente prima), fu l’esponente del movimento federalista che più incise sulla politica americana proprio perché per trentacinque anni a capo della Corte Suprema, alla quale seppe dare consistenza e rilievo al di là dell’immaginabile.

P.S. 2
Spesso e particolarmente negli anni nei quali governava Franklin Delano Roosevelt, il potere politico ha cercato di prevaricare la Corte Suprema, mai, peraltro, riuscendovi.
Il predetto F.D. Roosevelt, contrariato da una serie di decisioni avverse, confermato per un secondo mandato nel 1936, considerata l’età dei sei membri a lui contrari in carica, propose che da quel momento il Presidente USA fosse autorizzato a nominare un giudice in soprannumero per ogni componente della Corte che avesse superato i settant’anni senza lasciare volontariamente l’incarico.
L’idea fu ritirata, tanto vibranti furono in proposito le rimostranze anche popolari.

P.S. 3
Memorabili i molti contrasti tra un Capo dello Stato designante un giudice e un Senato a lui contrapposto o, anche se recante una maggioranza a lui favorevole, ostile in una minoranza combattiva.
Gli ultimi in ordine di tempo quelli vissuti tra Donald Trump nel suo unico mandato e i Laticlavi democratici che, prima di comunque soccombere, si sono opposti in ogni possibile modo alla nomina prima di Neil Gorsuch, poi di Neil Kavanaugh e infine di Amy Coney Barrett.
Nomina che dovrebbe influire assolutamente sul futuro americano (lo ha già fatto con la Sentenza datata 24 giugno 2022 che ha cassato la Roe vs Wade in tema di aborto) essendo la teorica conseguente maggioranza ‘di destra’ forte e formata da persone abbastanza giovani.

A chiudere.
In non poche occasioni, ho sostenuto che il potere di ratifica che vanta il Senato in tema appunto di conferma dei giudici della Corte è una delle ragioni che porta nel giorno delle cosiddette votazioni presidenziali l’elettorato americano – non solamente tra le classi più alte ed avvertite essendo le questioni inerenti da molti conosciute e discusse – ad esprimersi per l’uno o per l’altro candidato.
Guardando difatti alle possibili prossime (giudici in procinto di dimettersi o molto in là con gli anni, ammalati…) nomine e naturalmente conoscendo le idee dei due partiti in merito e dei contendenti all’incarico, si può mettere sulla scheda una preferenza volta a far sì che gli eventuali nominati siano liberal o conservatori.
Tornando al citato Donald Trump, certamente nel 2016 una componente non trascurabile del suo elettorato lo preferì per fare in modo che (sapendo che con buone probabilità i giudici da nominare sarebbero stati più di uno) nella futura composizione della Corte i conservatori fossero in numero maggiore.
Cosa che non si è ripetuta nel 2020 avendo, come sopra detto, l’ultimo Presidente repubblicano fatto il pieno.

Non è corretto terminare qui il dire sul tema senza ricordare che in non poche circostanze giudici ritenuti conservatori si sono poi dimostrati in concreto o assolutamente liberal o tali in singole decisioni.
Molto più difficile il comportamento conservatore da parte dei più vicini alle posizioni cosiddette progressiste.

15 gennaio 2024