La democrazia in America

La scelta dei candidati alla Casa Bianca?

Occorsero oltre cento anni perché si cominciasse a delineare, non compiutamente, la procedura oggi in vigore che prevede la lunga trafila di caucus e primarie (con una decisiva incidenza delle liste elettorali) e che si conclude con la nomination, l’investitura ufficializzata nella convention e cioè nel congresso quadriennale del partito.

Per quanto possa sembrare strano (dato che pone fine al predetto iter), è la convention che nasce per prima.

Esattamente nel 1831, quando l’allora esistente partito Antimassonico decise di nominare il proprio candidato in vista del 1832 appunto con un congresso al quale erano ammessi a partecipare e a votare i delegati dei diversi Stati.

Subito, gli altri partiti presenti nell’agone politico lo imitarono.

Fu solo, però, sul declinare dell’Ottocento che ci si pose seriamente (e con l’intento di intervenire) il problema della scelta dei predetti delegati.

Scelta che, si ritenne da più parti, non poteva restare nelle mani delle segreterie e, in buona sostanza, dei potentati partitici nazionali e locali.

Doveva, invece, spettare al popolo.

E’ così che entrano dapprima nell’uso i caucus (riunioni degli attivisti ancora utilizzate in parecchi Stati) e, infine, le primarie che chiedono direttamente ai cittadini di intervenire e decidere.

A livello di elezioni presidenziali, queste ultime vengono usate per la prima volta, peraltro limitatamente, nel 1912 dal partito repubblicano.

Le citate primarie possono essere ‘chiuse’ o ‘aperte’ (molte le varianti all’interno di questa suddivisione generale, molti i meccanismi di elezione dei quali parleremo più avanti).

Alle primarie aperte possono partecipare e quindi esprimere il suffragio tutti coloro che risultano iscritti alle liste elettorali. 

(Il diritto di voto si acquisisce compiendo i diciotto anni ma per poterlo esercitare occorre iscriversi appunto alle or ora nominate liste).

A quelle chiuse – adottate da un numero maggiore di Stati (e’ a livello locale che si decide se utilizzare il caucus o la primarie e nel secondo caso quale dei possibili modelli) – possono partecipare solo coloro che inserendo il proprio nome nelle liste elettorali, anche non essendo iscritti, hanno dichiarato la loro vicinanza, la loro appartenenza ideologica al partito che le indice. 

In buona sostanza, alla primaria aperta democratica può votare un repubblicano e viceversa.

Non altrettanto, alla primaria chiusa.

(Per inciso, le medesime procedure sono in uso anche nei movimenti politici minori USA come il Green Party e il Libertarian, per citare solo due nomi).

Sono i partiti che decidono la consistenza numerica dei delegati alle convention da eleggere in totale mentre la distribuzione Stato per Stato è su base proporzionale: maggiore il numero degli abitanti, maggiore il numero dei delegati.

(Non così per quanto riguarda la general election elezione nella quale il numero dei delegati – i cinquecentotrentotto grandi elettori – e’ deciso per disposizione legislativa a livello nazionale).

Negli ultimi decenni, e anche nel corrente 2016, uno dei concorrenti in lizza nei due partiti maggiori ed egemoni per la nomination ha sempre raggiunto la maggioranza assoluta dei delegati prima delle convention.

Per conseguenza, i casi di ‘brokered convention’ – cioè di un congresso al quale di arrivi senza una già presa decisione – sono lontani nel tempo. 

(Ricordo che fino all’inizio degli anni Trenta la maggioranza richiesta era dei due terzi e che nessuno a quei momenti arrivava avendo la nomination in tasca).

Al congresso – secondo le regole da qualche tempo in uso ma modificabili – i delegati, almeno al primo scrutinio, sono obbligati a votare secondo l’impegno preso al momento della loro elezione e quindi per il candidato al quale sono collegati.

Naturalmente, ciò implica l’ufficializzazione della candidatura del prescelto al primo colpo.

Tutto questo detto ed elencato, può davvero ritenersi ‘democratico’ l’intero iter decisionale?

Quali le critiche e la crepe? Per cominciare, il partito democratico fa partecipare con diritto di voto alla convention settecentododici (oggi) ‘superdelegati’, non scelti dagli elettori tra caucus e primarie.

Di conseguenza, il prescelto dagli elettori, se non può contare su una notevole, decisiva maggioranza, può essere messo in minoranza in sede di votazione congressuale.

Quantomeno discutibile.

Guardando al partito repubblicano, le regole relative all’obbligo da parte dei delegati di seguire gli impegni presi almeno nella prima chiama possono essere modificate praticamente fino al giorno prima dell’inaugurazione della convention.

Discutibilissimo.

Con riferimento alle citate liste elettorali, quanto alla ammissibilità o meno al voto nelle primarie chiuse, è possibile (e in uso in alcuni Stati) il sistema di chiudere le iscrizioni molto prima delle votazioni per favorire i candidati più noti e rendere difficile il cammino agli outsider, i cui elettori, quando, conoscendoli, decidono di votarli non possono farlo essendo appunto chiuse le liste.

In non pochi Stati, poi, i delegati alle convention vanno eletti non solo a livello statale ma anche circoscrizionale.

Gli Stati di cui si parla vengono cioè divisi appunto in circoscrizioni la cui composizione può essere articolata, guardando alle elezioni precedenti, in modo di favorire anche qui i candidati più famosi (il vecchio ‘gerrymandering’ ma non solo).

Discutibili, infine, i diversi sistemi usati dai repubblicani per attribuire i delegati nelle primarie, sistemi che in molteplici occasioni si basano non sul proporzionale ma sul ‘winner take all’ (peraltro, utilizzato quasi da tutti gli Stati nella general election), a volte assoluto e a volte relativo. 

Nel winner assoluto chi ottiene comunque più voti, anche se meno del cinquanta per cento, porta a casa tutti i delegati.

Nel relativo, li conquista solo se supera il predetto limite.