“La guerra è il modo in cui Dio insegna la geografia agli Americani”

È di Jon Stewart – un comico e quanto spesso i comici non fanno ridere e come nel caso esplicitano verità se non amare agrodolci?! – la frase del titolo (in verità, adottabile ovunque e per chiunque) pensata e dipoi vergata guardando, per dire, alla Pearl Harbor (e perché Harbor anziché Harbour?) del 7 dicembre 1941 piuttosto che alle Filippine del 1898 delle quali qualcuno a Washington, ai più alti livelli, era arrivato ad affermare che sinceramente non sapeva dove diavolo si collocassero.
E non è forse vero che per converso nei periodi di pace, per lunghi lunghi decenni, cinquantenni, il comune cittadino americano (e, ripeto, di un qualsiasi dovunque) di luoghi lontani da casa oltre un tiro di schioppo non aveva mai sentito parlare spesso avendo cancellato perfino ogni traccia delle proprie stesse familiari provenienze?
Capitava così, in principio a pochi e infine a molti, di andare a combattere in un mai neppure immaginato altrove, magari per lasciarci la pelle.
Accadde quanto agli Stati Uniti d’America questo in particolare nel lungo periodo che li vide impegnati tra Manila, Guam, Hawaii e isole del Pacifico varie a seguito del Trattato di Parigi che nel 1898 aveva trasferito loro, armi e bagagli, i resti dell’a quel momento definitivamente dissolto impero coloniale spagnolo e la ‘competenza’ sull’intera più vasta area.
Il periodo nel quale il volgere della storia – dilatando oltre ogni dire il concetto stesso del vecchio ‘Destino manifesto’ nonché quello più recente di ‘Frontiera’ – aveva prodotto il da me altrove lungamente esplorato ‘Imperialismo della Libertà’ portando un Paese nato per sfuggire alla colonizzazione a formare un pubblicamente taciuto, negato, proprio, Impero coloniale.
Così va il mondo!