Le elezioni americane intese anche (oltre il resto) come palestra politica

Sempre più
– per la dilatazione dei tempi (Elizabeth Warren ha cominciato a parlare di una possibile sua candidatura per il novembre 2020 e ad organizzarsi in relazione addirittura negli ultimi giorni del 2018!)
– per l’aumento esponenziale delle risorse economiche messe in campo (non più solamente – per quanto anche in passato, in qualche circostanza – attraverso la raccolta fondi, ma impegnando davvero cospicue capacità personali)
– per il numero impressionante di persone coinvolte, direttamente e indirettamente, la qual cosa le rende un ‘datore di lavoro’ tra i più importanti (e, per non pochi, anche a tempo pieno)
le elezioni USA contano, ‘pesano’, e non solo, ovviamente, negli Stati Uniti.
Contano anche (e, da un certo punto di vista, in modo decisamente importante) come ‘palestra’, luogo di istruzione ed esercizio politico.
Basta scorrere le biografie – non solo quelle dei Presidenti – degli uomini che hanno nel tempo operato politicamente ad un qualche livello per vedere come, quanto e con quale dedizione, da giovani se non giovanissimi, abbiano dedicato stagioni ed impegno ad uno o più candidati, apprendendo, secondo estro e capacità, arte e mestiere.
Naturalmente, nella maggior parte dei casi, le frequentazioni ideali e partitiche (nelle fila democratiche o repubblicane ma a volte non solo) giovanili hanno dipoi trovato seguito nell’impegno personale (1).

(1) Non sempre, peraltro, e si pensi in merito al percorso di Ronald Reagan, partito quale sostenitore di Franklin Delano Roosevelt e approdato su sponde ideologiche e comportamentali assolutamente opposte.