Le percentuali di voti popolari conquistate dagli eletti

È dal 1824 che i dati relativi ai voti popolari sono ufficialmente noti.
Nella circostanza, John Quincy Adams – l’unico Presidente eletto dalla Camera dei Rappresentanti in applicazione dell’Emendamento del 1804 che governa la materia quando nessuno dei candidati conquisti la maggioranza assoluta dei Grandi Elettori – ottenne il trenta e nove per cento dei suffragi espressi contro il quarantuno e quattro di Andrew Jackson al quale (come altresì a William Crawford) fu preferito (1).
In una sola altra occasione, il Capo dello Stato – peraltro questa volta catturando i delegati nazionali occorrenti – fu nominato con una votazione percentuale inferiore al quaranta: nel 1860 allorquando Abraham Lincoln arrivò esattamente al trentanove e otto.
Quattro soltanto i Presidenti capaci di superare nel campo il sessanta per cento.
Il record appartiene a Lyndon Johnson nel 1964 con il sessantuno e uno.
Poi, Franklin Delano Roosevelt nel 1936 con il sessanta e otto.
Ancora, Richard Nixon nel 1972 con il sessanta e sette.
Infine, nel 1920 – il solo ad arrivare a questo punto senza essere in carica e in cerca di un secondo mandato – Warren Harding con il sessanta e quattro.
La media generale delle quarantanove tornate elettorali comprese tra il 1824 e il 2016 è del cinquantuno e venticinque.

(1) È in conseguenza del risultato appunto del 1824 da molti contestato che sostanzialmente evapora il fino ad allora dominante partito Democratico-Repubblicano (tutti i candidati in corsa – ai tre citati va aggiunto Henry Clay – erano suoi esponenti) e nasce il Democratico il cui primo Presidente è ritenuto proprio l’Andrew Jackson che nel 1828, prendendosi la rivincita, defenestrò il predetto J. Q. Adams.