Liste, caucus, primarie, convention… Non poche e fondate le critiche

Bernie Sanders fra i democratici.

Donald Trump tra i repubblicani.

Secondo un recente sondaggio, il trentotto per cento tra gli elettori dell’asinello e il quarantaquattro per cento tra quelli dell’elefantino.

Le lamentele e i mal di pancia a proposito dell’intero meccanismo di selezione dei delegati alle convention e quindi dei candidati alle presidenziali sono numerose e, direi, motivate.

Caucus e primarie sono stati adottati per dare voce al popolo degli elettori ma, attraverso regole interne studiate apposta per complicare le cose, alla fine, i partiti, che dovrebbero essere esclusi dalle scelte, tornano a contare e anche troppo.

Un primo intoppo deriva dal sistema delle liste elettorali.

Per votare, infatti, ci si deve iscrivere appunto in tali liste ma l’iscrizione deve avvenire entro un dato limite di tempo prima del voto.

Basta anticipare tale limite per impedire a quanti, seguendo la campagna elettorale, arrivano ad apprezzare per esempio un outsider, un candidato prima poco noto, di votare.

E’ quanto accaduto a Sanders, senatore del Vermont ignoto praticamente nel resto del Paese, i cui sostenitori, in molti Stati, non hanno potuto optare per lui in quanto in precedenza non iscritti.

Non così, ovviamente, quanto ai seguaci dell’ex segretario di Stato, iscrittisi bene in tempo.

Inoltre, nei caucus in assoluto e nelle primarie chiuse relativamente – insomma laddove votano iscritti e simpatizzanti registrati come tali – è ben difficile andare contro le indicazioni degli establishment dei partiti.

Infine, in campo democratico, l’esistenza dei superdelegati – oltre settecento addirittura – non votati dagli elettori ma scelti e nominati dal partito e legati a camarille e cordate, come infinite volte denunciato da Bernie Sanders, porta a risultati che possono andare contro il volere popolare.

Molte le critiche e fondate.