Perché Tulsa (“one possible buckle of the ‘Bible Belt’”)

Quindici, nientemeno, più parzialmente tre.
Parlo degli Stati che fanno tradizionalmente parte della ‘Cintura della Bibbia’ (‘Bible Belt’, come venne definita, con intento sarcastico e denigratorio ed enorme duraturo successo mediatico, da Henry Louis Mencken nel relativamente vicino 1924 una larga, religiosamente protestante, politicamente e socialmente importantissima zona – una ‘regione informale’ – dei ‘Southern United States’).
In ordine alfabetico.
I quindici sono:
Alabama
Arkansas
Florida
Georgia
Kentucky
Louisiana
Mississippi
Missouri
North Carolina
Oklahoma
South Carolina
Tennessee
Texas
Virginia
West Virginia.
I tre ‘parzialmente’ sono:
Illinois
Indiana
Ohio.
Basti guardare, nella fino a non molto tempo fa lenta evoluzione dei tempi in questa ‘regione’, agli esiti delle consultazioni elettorali tutte per comprenderne le caratteristiche che ne hanno fatto e ancora parzialmente fanno la ‘culla’ della conservazione.
Una ‘culla’ che, restando ovviamente ferma ma seguendo le evoluzioni geopolitiche, si è espressa dopo la fine della Guerra di Secessione e gli immediati ‘aggiustamenti’, dapprima, per all’incirca settantacinque anni, per i democratici (salvo, a conferma dell’importanza colà della religione, nel 1928 e non ovunque, essendo candidato appunto dem il cattolico ‘papista’ Alfred Smith) e poi per i repubblicani.
Dominanti in questa vasta ‘regione informale’ (altra definizione di notevole efficacia) comuni – naturalmente variegati e oggi sbiaditi – caratteri sociali determinati infine dalle vecchie appartenenze.
Nelle elezioni del 2016 i diciotto Stati sopra elencati si sono in larga parte espressi per Donald Trump e costituiscono sostanzialmente (peraltro con l’Idaho, i due Dakota, il Wyoming, il Nebraska e lo Utah) la ‘riserva aurea naturale’ del Grand Old Party.
Una ‘riserva’ decisamente sotto attacco in questo per tanti versi drammatico 2020 altresì ‘pandemico’.
Una ‘riserva’ che i sondaggi unanimemente danno per sotto assedio.
Ad evitare che ceda, parte da Tulsa la ‘vera’ campagna elettorale, in qualche modo ‘alla vecchia maniera’ perché ideata come, e condotta da, una serie di comizi (Covid 19 permettendo), di incontri e confronti ‘fisici’ tra il candidato e una base che va rincuorata, spronata e rassicurata.
Da Tulsa – per definizione una delle ‘fibbie’ (‘buckle’) con Nashville, Tennessee, Abilene, Texas, e Greenville, South Carolina) della ‘Cintura’ (‘Belt’).
Ebbi nel 2008 a definire la vittoria di Barack Obama – il secondo non ‘wasp’, ma per una differente ragione in quanto nero, dopo il cattolico John Kennedy – la ‘Terza Rivoluzione Americana’ essendo la Prima naturalmente quella della emancipazione dal giogo coloniale e la Seconda quella conseguente la sconfitta nel 1828 di John Quincy Adams – ultimo erede dei grandi della Aristocrazia terriera che aveva ideato e realizzato il Paese creandone le basi ideologiche, culturali, sociali , istituzionali e giuridiche – da parte di Andrew Jackson, rappresentante di quella Borghesia che andava agitandosi e facendosi classe trovando identificazione, allora e come ricordato, per lunghissimi anni nel partito democratico.
Una Terza Rivoluzione nella quale nuove istanze, nuove etnie, nuove posizioni e soprattutto il tramonto di un’etica nei fatti antica e sorpassata vedono affermarsi un partito democratico politicamente corretto e liberal, qualunque cosa voglia e possa oggi questa definizione significare.
Trump – non per nulla un repubblicano davvero particolare e avversato dalla vecchia guardia interna – è riuscito nel 2016 a buttare per aria tavolo e carte (che i contendenti intendono rialzare e raccogliere) interrompendo l’evoluzione in corso.
Prova a ripetersi.
A Tulsa per dare il via.
Storicamente, più facile per un Asinello defenestrare un Elefantino (ci sono riusciti Grover Cleveland, Woodrow Wilson, Franklin Delano Roosevelt, Jimmy Carter e Bill Clinton) che non il contrario (lasciando da parte la parentesi Benjamin Harrison, in pratica solo Ronald Reagan l’ha fatto).
Joe Biden ha in mano oggi carte vincenti.
Un poker si direbbe.
Vedremo se Donald Trump sarà in grado di completare, chiamando non un solo incastro, una difficile, a dir poco, scala reale.