Presidenziali del 1912

Nel 1912, le votazioni si svolsero il 5 novembre.
I votanti furono il cinquantotto e otto per cento degli aventi diritto.
Il candidato democratico fu Woodrow Wilson, Governatore del New Jersey.
Prevalse in una infuocata e combattuta Convention tenuta a Baltimora.
Dovette la nomina in particolare a William Jennings Bryan, già tre volte invano candidato a White House.
Bryan – in seguito Segretario di Stato – dirottò per motivi etici su di lui i voti dei delegati progressisti che controllava togliendoli allo Speaker Champ Clark per il quale aveva all’inizio votato.

Il campo repubblicano fu ferocemente dilaniato tanto che, come si legge articolatamente qui sotto, l’ex Presidente Theodore Roosevelt uscì dal GOP e si propose come terzo per un improvvisato Progressive Party.

Il predetto 5 novembre, Wilson vinse in quaranta Stati riportando quattrocentotrentacinque Elettori.
Teddy conquistò sei Stati per un totale di ottantotto delegati.
Il Presidente uscente William Taft prevalse solamente in due Stati ottenendo la miseria di otto partecipanti al Collegio Elettorale.
Era altresì in corsa per il Partito Socialista Eugene Debs.

Per la prima volta a livello di elezioni per la Casa Bianca si tennero le Primarie – da parte repubblicana e in soli tredici Stati.

Annotazioni
La campagna del 1912
In occasione delle Mid Term Elections del 1910, il Partito Repubblicano (al cui interno molti criticavano aspramente – tanto da essere definiti ‘insorti’ – il Presidente William Taft che pure era espressione del GOP) fu gravemente sconfitto e i democratici, dal 1894 in minoranza, ripresero il controllo del Congresso.
Era chiaro a quel punto che riproponendo nel 1912 il delfino di Theodore Roosevelt (tale era definibile Taft) gli aderenti al movimento dell’Elefante avrebbero perso White House e sarebbero andati incontro ad un disastro.

Alla ricerca di un candidato alternativo, gli ‘insorti’ fondarono la National Progressive Republican League e, per un istante, pensarono di proporre per la Nomination Robert M. La Follette, il quale, peraltro, benché idolatrato nel Middle West, non aveva la necessaria statura a livello nazionale.
Fu così che decisero di fare le opportune pressioni su Theodore Roosevelt perché tornasse sulle proprie decisioni e a fare politica.

L’ex Presidente, per quasi otto anni con grande successo alla Casa Bianca e Premio Nobel per la Pace, aveva volontariamente rifiutato un nuovo mandato nel 1908 ed indicato il suo Ministro della Guerra Taft come successore.
Era quindi partito per un lungo viaggio, seguitissimo dalla stampa americana e non solo, in Africa e in Europa e, rientrato in patria nel 1910, era stato accolto come un trionfatore a New York.

Scontento della politica conservatrice della nuova amministrazione, dopo averne criticato l’operato durante tutto il 1911, nel febbraio successivo, cedendo alle mille insistenze, Roosevelt annunciò la propria discesa in campo e l’intenzione di contendere a Taft la Nomination repubblicana.

Nettamente preferito al rivale dagli elettori del GOP, nei tredici Stati nei quali, per la prima volta, si tennero le Primarie stravinse e si presentò alla Convenzione di giugno a Chicago con duecentosettantotto delegati, contro i quarantotto del Presidente in carica e i trentasei di La Follette.
Taft, però, controllava l’establishment e, con un sotterfugio, ottenne che alcuni seggi contestati fossero sottratti all’avversario così da essere prescelto al primo ballottaggio.

I sostenitori di Roosevelt lasciarono la Convention e due mesi dopo fondarono il Partito Progressista del quale, naturalmente, l’ex Capo dello Stato era il portabandiera.
Il programma del nuovo movimento (che aveva come emblema l’alce – Bull Moose – e che risentiva non solamente delle idee di Theodore ma anche di quelle di La Follette e degli altri numerosi riformatori che dall’inizio del secolo avevano preso in mano molti Stati conquistandone la guida) prevedeva tra l’altro il referendum, la revoca dei mandati, il voto alle donne (che ancora non l’avevano), le Primarie e vastissime riforme sociali quali il salario minimo garantito alle donne, la legge sul lavoro minorile, l’indennizzo ai lavoratori e i sussidi di disoccupazione, la pensione agli anziani e la creazione di apposite agenzie federali per il controllo e il regolamento del mondo degli affari, dell’industria e della finanza.
La fuoriuscita dei seguaci di Roosevelt dal GOP aumentò enormemente le possibilità democratiche di riconquistare la Presidenza.

Riuniti a Baltimora, alla fine, i delegati del Partito dell’Asino, respinta l’autorevole candidatura dello Speaker della Camera Champ Clark, al quarantaseiesimo scrutinio, scelsero il Governatore del New Jersey Woodrow Wilson che affrontò i rivali sulla base di un programma non molto difforme da quello rooseveltiano e comunque dettato da William Jennings Bryan che rimaneva pur sempre uno degli uomini di punta del movimento.

Benché fossero quattro i contendenti (a Wilson, Taft e Theodore Roosevelt si era aggiunto, come quasi sempre in quegli anni, il socialista Eugene Debs), la lotta in quel 1912 si risolse in un duello tra il democratico e il progressista come sempre scatenato al punto che, ferito da un esaltato con un colpo di pistola al torace a Milwakee, si fece curare solo al termine del comizio.

La divisione in campo repubblicano consentì a Wilson (che ottenne solo il quarantadue per cento dei voti popolari) di vincere, ma ‘Teddy’ conseguì il miglior risultato mai raggiunto, neppure successivamente, da un ‘terzo uomo’ alle presidenziali e stracciò Taft che riuscì ad affermarsi in soli due Stati.

Poco dopo, il Partito Progressista (troppo legato alle sorti del proprio candidato a White House) si dissolse e i suoi aderenti, pian piano, rientrarono tra i repubblicani.

Da notare che il Vice Presidente di Taft nel mandato 1909/1913 James Sherman morì il 30 ottobre 1912, cioè cinque soli giorni prima del voto, essendo a quel momento il candidato compreso nel ticket repubblicano.
Si tratta dell’ultimo decesso di un Vice Presidente in carica.
Il Comitato Repubblicano chiamato in quel frangente a sostituirlo (non sulle schede elettorali, evidentemente) decise che i suoi voti dovessero convergere su Nicholas Murray Butler, Presidente della Columbia University e storicamente l’unico candidato alla Presidenza o al ruolo di Vice sostituito a così pochi giorni dal voto.

22 marzo 2024