Presidenziali del 1972

Nel 1972 si votò il 7 novembre.
La partecipazione fu pari al cinquantacinque e due per cento degli aventi diritto.
Il risultato elettorale risultò catastrofico per i democratici che, contro il Presidente in carica Richard Nixon, avevano infine candidato il Senatore George McGovern.
Fuori gioco a causa di un attentato George Wallace, rientrato dopo la precedente tornata nei ranghi dell’Asinello, e costretto all’abbandono (vedremo come) Edmund Muskie, già candidato vice con Humphrey, il pacifista del South Carolina ottenne la Nomination.
Nixon vinse in quarantanove Stati su cinquanta lasciando al rivale il Massachusetts e il Distretto di Columbia.
Cinquecentoventi Elettori contro diciassette.
In sede di Collegio Elettorale un voto andò al ticket del Libertarian Party per la prima volta in competizione.
In questo modo ottennero un suffragio John Hospers e la sua Running Mate Theodora ‘Tonie’ Nathan che pertanto risulta essere la prima donna votata in un Collegio Elettorale.

Del resto, il 1972 vide altre due ‘prime volte’ entrambe in campo democratico.
Shirley Chisholm, Rappresentante, candidandosi fu la prima donna di colore a mettersi in gioco per White House.
Patsy Mink, a sua volta, fu la prima asiatica americana (Rappresentante per la Hawaii, per la precisione) a cercare la Nomination.

Annotazioni
1972, McGovern invece di Muskie
Il 25 marzo 1997, a settantotto anni di età, moriva l’ex Segretario di Stato americano (con Jimmy Carter) e candidato alla Presidenza Edmund Muskie.
Per quanto l’uomo sia indubbiamente da annoverare tra i più degni espressi nella seconda metà del Novecento dal Partito Democratico USA, di lui, forse, non metterebbe conto parlare non fosse per il fatto che fu, storicamente, il primo avversario contro il quale si dispiegò l’operato di quei poco raccomandabili ‘sostenitori’ di Richard Nixon successivamente protagonisti del Watergate in quel tristemente famoso anno elettorale 1972.
Alla vigilia dell’importantissima Primaria del New Hampshire (che all’epoca aveva luogo in febbraio e che, tradizionalmente, è la numero uno e per ciò stesso una delle più importanti in calendario), tutti gli analisti, confortati dall’esito dei sondaggi, davano pressoché certa la scelta da parte democratica di Muskie quale antagonista del Presidente in carica nelle votazioni novembrine per White House.
Fu allora che, temendo il forte richiamo popolare che il candidato di origini polacche poteva vantare, gli ‘amici’ di Nixon decisero di usare ogni mezzo per screditarlo e per indurre i democratici a puntare, come in effetti avvenne, su un avversario più facilmente battibile.
Si cominciò introducendo tra i collaboratori di Muskie alcuni infiltrati che ne boicottarono le prime mosse e si proseguì, proprio nel New Hampshire (Stato abitato per la massima parte da bianchi conservatori, se non, addirittura, all’epoca, razzisti), facendo telefonare a tappeto, di notte, a diverse migliaia di elettori da parte di un fantomatico e sedicente gruppo battezzato ‘Harlem per Muskie’ che raccomandava di votarlo perché in precedenti occasioni si era dichiarato favorevole all’integrazione razziale e contrario ad ogni forma di emarginazione.
Ovviamente, visto il tipo di elettorato e l’ora prescelta per telefonare, l’esito per il candidato democratico fu disastroso.

Non ancora certi di averlo affossato a vantaggio di George McGovern (il suo rivale interno al Partito dell’Asino preferito dai nixoniani), ci si adoperò per il colpo finale.
Fu fatta circolare in tutto lo Stato, alla vigilia della votazione e senza che ci fosse il tempo per abbozzare una smentita, una copia falsificata di una lettera – nota, in seguito, come ‘la Lettera canadese’ – nella quale Muskie risultava (e non era assolutamente vero) essersi espresso in termini spregiativi nei confronti della comunità franco canadese di cui moltissimi esponenti risiedono appunto nel New Hampshire.

La conclusione fu che le televisioni americane, alla proclamazione dei risultati della primaria in campo democratico, trasmisero in tutto il Paese l’immagine di un uomo in lacrime sotto la neve, sconfitto non dagli avversari sulla base di un leale confronto di programmi e idee, ma da una meschina e perfettamente riuscita macchinazione.
Così un uomo onesto e assolutamente in grado di ben governare gli Stati Uniti dovette rinunciare ai propri sogni costretto da allora a convivere con una profonda, inguaribile indignazione.
Così (nonché in conseguenza di un attentato che eliminò dalla competizione George Wallace che era rientrato nel Partito dell’Asino), l’assai meno temibile Senatore del Sud Dakota George McGovern ottenne la Nomination democratica.

Lo ‘scheletro nell’armadio’ del candidato alla Vicepresidenza
A rendere ancora più facile la vittoria di Nixon concorse non poco il fatto che la persona scelta dai rivali per affiancare McGovern nel ticket fosse il Senatore del Missouri Thomas Eagleton che in precedenza era stato sottoposto a cure psichiatriche e lo aveva tenuto nascosto (un classico ‘scheletro nell’armadio’).
La ritardata sostituzione – con l’ex Ambasciatore Sargent Shriver – del candidato Vice nonché alcune donchisciottesche e poco realistiche prese di posizione di McGovern consentirono al Presidente in carica – ancora abbinato a Spiro Agnew – di ottenere in carrozza la conferma.

6 aprile 2024